Da quanto tempo non si sentiva parlare così tanto di Dylan Dog? La creatura di Tiziano Sclavi, dopo quasi trent’anni di onorata carriera investigativa (la prima uscita risale al 1986), sembrava ormai avviata su un inglorioso viale del tramonto: un folgorante commento postato qualche tempo fa sul web lo definiva un “personaggio zombie”. Quasi un contrappasso, per uno che i morti viventi li ha combattuti fin dall’albo numero 1. D’altronde, l’abbassamento della qualità del prodotto e la generale disaffezione da parte dei lettori storici, chiaramente leggibile nel costante calo nelle vendite, erano i segni più evidenti di una crisi ormai inarrestabile. A trascinare fuori dall’oblio l’Indagatore dell’Incubo sono stati due fattori distinti ma concomitanti: da una parte il radicale rinnovamento della serie voluto dal nuovo curatore Roberto Recchioni, dall’altra l’ambizioso fan-movie Vittima degli eventi realizzato da Claudio Di Biagio e Luca Vecchi.
Innanzitutto il progetto di Recchioni: rinnovare completamente il personaggio senza tradire l’ispirazione originale, per recuperare gli appassionati persi per strada e tentare, allo stesso tempo, di sedurre un pubblico nuovo. Tornare alle origini, quando il fenomeno Dylan Dog era veramente qualcosa di fresco nel panorama editoriale italiano: un fumetto seriale con ambizioni da fumetto d’autore. Storie spaventose e appassionanti piene di citazioni dalla letteratura, dal cinema, dalla musica; una vera miniera di suggerimenti non scontati per letture/visioni/ascolti a disposizione di generazioni di lettori. [Parentesi personale. Il primo albo che mi capitò fra le mani fu Doktor Terror, uscito nel 1993, di cui probabilmente lessi una ristampa. Fui impressionato dalla quella storia durissima, che parlava di uno spietato medico nazista e si occupava esplicitamente degli orrori dell’Olocausto. In un momento memorabile della vicenda, il vagone della metropolitana su cui viaggia la giovane protagonista ebrea si trasforma gradualmente in un convoglio diretto verso un campo di concentramento; intanto, la ragazza prende le sembianze di un topo e i neonazisti che la perseguitano diventano maiali. Come scoprii solo in seguito, quella scena così potente era un omaggio a Maus di Art Spiegelman. Nello stesso numero compariva un uomo politico inglese favorevole all’introduzione delle leggi razziali, il cui volto era inequivocabilmente quello di Umberto Bossi. Intrattenimento di grande qualità, cultura “alta” e perfino attualità: e tutto questo in un fumetto seriale! Pur non comprendendo subito tutti i riferimenti, divenni subito un lettore assiduo della serie.] Per togliere la polvere ad un personaggio che negli anni è diventato ripetitivo e prevedibile, Recchioni ha promosso una serie di novità, che comprendono alcuni avvicendamenti tra i personaggi (l’ispettore Bloch ottiene la tanto sospirata pensione, pur non scomparendo dalla storia; si presenta un nuovo antagonista, John Ghost) e collaborazioni con altri artisti del fumetto (si fanno i nomi di Gipi e di Zerocalcare). Il curatore ha scelto di ispirarsi alla forma di serialità più vitale di questi anni, le serie TV, cercando di innestare piani narrativi orizzontali, cioè estesi su più albi, senza rinunciare alla verticalità di ogni singolo episodio, in modo da non precludere la fruibilità dei singoli numeri. Insomma, come Game of Thrones o Breaking Bad, anche le uscite di Dylan Dog saranno suddivise in “stagioni”. Le idee, chiare, ci sono. Ma i buoni propositi sono stati realizzati? È ancora presto per dare una risposta definitiva: in attesa di maggiori elementi di giudizio (mi riservo di leggere almeno qualche altro albo) mi pare che vada comunque riconosciuto a Recchioni il merito di avere riportato l’attenzione su una vera icona del fumetto italiano.
Quali sono, per ora, le reazioni del pubblico a queste innovazioni? Il successo commerciale delle prime uscite del nuovo corso è stato ottimo (l’albo della “svolta” ha venduto circa 30000 copie in più rispetto alle uscite precedenti), ma è più interessante (e, per quanto mi riguarda, divertente), tastare il polso degli appassionati sui social network. A fianco dei molti feedback positivi, su Facebook si possono ammirare le reazioni scomposte dei fan più oltranzisti, ostili ad ogni rinnovamento che vada a compromettere la purezza del mito Dylan Dog. Con post simili a lamentazioni bibliche o, più prosaicamente, con semplici insulti, una fetta del pubblico dylandoghiano ha dichiarato la propria fede assoluta in un eterno e rassicurante ritorno dell’uguale:
“Succede che se il tuo eroe (anti eroe) preferito non vive una storia che ti coinvolge, che ti appassiona […] ti lascia un’emozione forte dentro, ci si rimane male. Delusi, appunto. E Dylan, per me, non è un mero e semplice momento di svago. In Dylan ci vedo tanti ideali, modi di vivere e di rapportarsi all’ Altro, tanti PRINCIPI, che sono miei e che Dylan Dog ha contribuito sia a farli in me nascere, sia a rafforzarli.” (da un commento postato su una pagina Facebook)
Il personaggio è così amato da non essere più un semplice fatto letterario: molti fan si sentono coinvolti personalmente nelle sue vicende. Fenomeni di attaccamento tanto forte ad una figura di fantasia non sono nuovi né limitati a Dylan Dog, ma testimoniano la grandezza di un eroe che è ormai vivo prima nella passione dei lettori che sulla carta. [Parentesi storica. Senza scomodare la follia della protagonista di Misery non deve morire, mi piace fare un paragone, ovviamente molto libero, con la sfrenata passione della gente comune per i paladini cantati sulle pubbliche piazze ancora nell’Ottocento. Quasi tutti i resoconti di viaggio relativi a Napoli, ad esempio, si soffermavano sul tipo umano dei “patuti e’ Rinalde”, incapaci di accettare le sconfitte o la morte dei loro beniamini.]
L’altro evento che ha fatto tornare alla ribalta l’inquilino di Craven Road è la realizzazione del mediometraggio (circa 50 minuti) Vittima degli eventi. Gli ideatori del progetto sono riusciti a finanziarsi con l’innovativo strumento del crowdfunding e hanno saputo alimentare un’attesa carica di aspettative attorno al proprio lavoro. Il mini-film è davvero ammirevole per la fedeltà al fumetto ma non altrettanto ben riuscito in alcuni aspetti propriamente filmici. Se la precisione e la ricchezza di particolari nella ricostruzione degli ambienti (lo studio dell’Indagatore, il negozio Safarà) sono eccezionali, lasciano invece molto a desiderare il ritmo della vicenda, la recitazione del protagonista e, soprattutto, la qualità della scrittura di sceneggiatura e dialoghi. Per dare una valutazione equilibrata su questa realizzazione bisogna però giudicarla per quello che è: un fan-movie. E per essere un fan-movie, è di ottima fattura, decisamente sopra la media. Molti commentatori si sono dichiarati insoddisfatti dal risultato finale: penso che la loro delusione sia dovuta al grande clamore nato attorno alla lavorazione di Vittima degli eventi, che ha generato aspettative altissime e probabilmente eccessive. In ogni caso, l’impressione generale è che si sia voluto far entrare tutto il mondo di Dylan Dog in un solo episodio, con alcune forzature piuttosto evidenti (perché quell’inutile dialogo sul maggiolone fermo?). Proprio per la volontà di essere il più conformi possibile al fumetto ha fatto sì che Vittima degli eventi sia stato molto apprezzato dai puristi di cui sopra, che hanno visto nel web-movie il canto del cigno del Dylan “tradizionale”, ormai destinato a scomparire sotto i colpi della modernità.
Si stanno scontrando due visioni opposte sul futuro del personaggio: il cambiamento sarà un progresso o una caduta? Insomma, dobbiamo rimpiangere la perduta età dell’oro o aspettare con fiducia le “magnifiche sorti e progressive”? Ma a questo punto mi sembra chiaro che si tratti di una questione di concezione della storia più che un semplice dibattito fumettistico.
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