Globalizzazione, musica e social network sono i responsabili del cambiamento.
SWAG, LOL, YOLO, BAE: questi sono solo alcuni dei termini dello slang giovanile “made in the USA” che, attraversato l’oceano, si stanno diffondendo anche nel vecchio continente, Italia compresa.
Sono ormai lontani i ricordi degli anni Ottanta, quando nel Bel Paese dominava il “movimento paninaro”, nato ai piedi della Madonnina e diffusosi poi fino a Roma; questa sorta di sottocultura giovanile, l’ultima, in realtà, ad avere avuto una sua storia e diffusione all’interno del nostro Paese, aveva, oltre a uno specifico modo di vestire, anche un proprio modo di parlare: per esempio “fare una volpinata” significava “fare una cosa molto furba”; “sei troppo scarso/troppo giusto” erano espressioni usate per indicare disapprovazione/approvazione, soprattutto in riferimento all’abbigliamento; il “gino” era il ragazzo fuori moda, che non riusciva, spesso, a “cuccare”, cioè a “fare colpo” a un appuntamento galante, appuntamento al quale il paninaro poteva decidere di non presentarsi (“fare pacco” voleva dire, infatti, “dare buca”).
Poche erano le tracce di anglismi. La maggior parte delle parole, infatti, erano nate a Milano e nelle principali città italiane dove il movimento si era sparso: tutto era rigorosamente “fatto in casa”. Ora, invece, le cose stanno cambiando: internet, la globalizzazione, la diffusione dell’inglese, l’uso dei social network sono i principali responsabili. Non esiste più una cultura giovanile italiana, con un suo gergo e un suo codice modaiolo, anche se alcune marche e oggetti rimangono indicatori di un preciso status sociale di appartenenza.
Il teenager/giovane italiano può dire “Hai stile!”, ma sa bene che il termine dell’inglese americano SWAG rende meglio l’idea. Perché? Perché campeggia su molte t-shirt, maglie, cappelli, indumenti e accessori, di catene soprattutto low-cost, presso le quali si riforniscono i teen.
Nella rete, invece, domina, ormai dal 2011, il termine LOL, acronimo di “Laughing Out Loud”: il ridere a crepapelle. Il termine, nato tra le chat dei social e dei forum, ha avuto molto successo, tanto da essere inserito nell’Oxford English Dictionary. È usatissimo anche in Italia, tanto da essere italianizzato in “lollissimo”, sinonimo di divertentissimo.
L’inglese sembra avere un suo appeal. Lo dimostra anche il prevalere di un’altra espressione estera, YOLO (“You Only Live Once”, in italiano “vivi una volta sola”) sul ben più classico carpe diem. Alla diffusione di quest’altro acronimo ha contribuito la fortuna della cultura musicale d’oltre oceano, hip hop e non solo. YOLO è stato usato da Zayn Malik in una delle prime interviste degli One Direction e, nel 2011, dal cantante Drake nel suo album, The Motto. Ai latinismi si preferiscono gli anglismi dunque, anche nel paese latino per eccellenza quale è il nostro.
Più recente l’affermazione di BAE, dovuta anch’essa all’impressionante influenza del panorama musicale americano. L’espressione è diventata celebre perché è stata usata, tra gli altri, da Pharrel e Miley Cyrus. In generale è un’abbreviazione di babe, ma potrebbe anche stare per “Before Anyone Else” (“prima di qualsiasi altro”, per dare importanza esclusiva ad una persona in una relazione di amore o amicizia) o per “Bitches Always Eating”, modo di dire nato nei ghetti per indicare persone sovrappeso o obese.
Siamo arrivati a una svolta, a un punto epocale di evoluzione cultuale, linguistica, estetica. Tutto ciò con cui ci rapportiamo, musica, lingua e vestiti, sebbene rechi tracce evidenti di un processo di globalizzazione che è ormai giunto a una fase matura, non viene da noi avvertito come un prodotto globale, come qualcosa di “esterno” e, quindi, importato. Non esiste più la percezione della differenza, per esempio, tra una cultura giovanile italiana e la cultura giovanile di un qualsiasi altro Paese… perché non esiste più una reale cultura giovanile italiana!
La globalizzazione ha avuto dei vantaggi (e svantaggi) economici e commerciali notevoli, ma ha anche avuto un impatto radicale su quello che può essere genericamente definito il lifestyle e ha realmente e radicalmente trasformato tutto il mondo in Paese, amalgamando e omologando, livellando: è sempre più raro, se non impossibile, assistere, in Italia, alla nascita di una moda, di un’abitudine, di un movimento o di uno slang che non sia derivato da modelli americani o, in generale, esteri.
Questo è un bene o un male? Ai posteri l’ardua sentenza.
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