IS, ISI o ISIS, indipendentemente dalla denominazione attraverso la quale si decida di farvi riferimento, il sedicente Stato Islamico guidato dal Califfo Abu-Bakr al-Baghdadi, continua tanto a intimorire quanto a sconcertare non soltanto l’occidente ma, ritengo sia possibile affermarlo con estrema sicurezza, tutti coloro i quali siano in grado di comprendere cosa il rispetto della dignità umana, il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza di ogni individuo siano. L’ISIS è sì macabro sadismo, ma non solo.
L’ISIS si mostra al mondo come una nuova, vera e propria, formazione terroristica palesemente ispirata al fondamentalismo islamico e che, al pari di altre organizzazioni (Al-Qaeda) sorte in questi ultimi decenni, non esita a manifestare una radicale avversione verso il mondo occidentale e tutto ciò che quest’ultimo ha rappresentato fino a oggi. In linea di principio, l’egemonia del califfato dovrebbe potersi estendere a tutto il mondo islamico. Risulta difficile, se non impossibile, censire i membri attivamente operanti in qualità di militanti tra le fila dell’ISIS.
Ciononostante, di contro, è apparso più semplice determinare, almeno fino a oggi, la provenienza degli affiliati all’esercito: questi, infatti, proverrebbero perlopiù da quello che è stato definito come “libero esercito siriano” (sarebbero più di 6.500 i soldati siriani unitisi all’ISIS nel luglio di quest’anno).
Malgrado la tempestiva reazione posta in essere dalla coalizione guidata dagli Stati Uniti d’America, la situazione appare ulteriormente aggravata nel momento in cui si volge lo sguardo oltre la singola organizzazione, concentrandoci, per esempio, sulla collocazione territoriale della stessa; questa, infatti, ponendosi nel cuore dell’area medio-orientale, rappresenta una minaccia tanto verso il “polmone” energetico del pianeta, inevitabilmente fulcro di pesantissimi interessi economici, quanto verso gli equilibri mondiali già sufficientemente precari prima ancora dell’avvento, o, per meglio dire, ritorno dello Stato Islamico.
Il fanatismo religioso e la carica ideologica anti-occidentale, che formano la base “culturale” dell’ISIS, rischiano di dare al sedicente Stato islamico una forza travolgente e dilagante anche in aree prossime al medio-oriente, come l’Africa settentrionale, nella quale vi sono Paesi, tra tutti Libia e Algeria, che, dopo la “primavera africana”, stanno attraversando una fase di grande turbolenza, tale da potere essere un filo conduttore verso gravissime derive fondamentaliste.
Ciò risulta avallato da quanto accaduto il tredici novembre scorso, ovvero la decapitazione di un attivista libico per mano di alcuni membri dell’Ansar al Sharia, gruppo libico, giustappunto affiliato all’ISIS.
Quel che va pian piano emergendo e imponendosi è non soltanto l’immagine di una organizzazione terroristica che, se non contrastata adeguatamente potrebbe farsi portatrice di azioni ancora più gravi rispetto a quelle realizzate fino a oggi, ma anche, e soprattutto, una entità riconosciuta ed eretta a simbolo di un più grande sentimento e spirito sia di rivolta che di guerra, connotata da una sempre più rapida diffusione capillare. Questo deve essere assolutamente oggetto di riflessione.
A tal proposito quel che preoccupa maggiormente è il riscontro che il movimento sta ottenendo anche all’interno dei confini europei.
Stando a quanto riportato dai servizi di intelligence e organismi antiterrorismo, sarebbero circa quattromila i francesi assoldatisi liberamente al sedicente Stato Islamico e altri tremila i volontari provenienti da altre nazioni europee, tra le quali anche l’Italia.
Si tratta di un numero irrilevante, o quasi, se confrontato alle forze militari delle quali dispongono le nazioni della coalizione anti-ISIS, ma che non può lasciare indifferenti nel momento in cui si pensi che alla base dello Stato Islamico stia un radicato odio proprio verso l’Europa e, in generale, l’occidente.
Quanto detto fin qui trova ulteriore conferma nelle dichiarazioni che già a settembre erano state rilasciate da Gilles de Kerchove, coordinatore europeo antiterrorismo.
È un eufemismo affermare quanto non sia semplice controllare ed arginare un nemico come quello del quale si è detto fin qui, ma si può certamente nutrire una più che fondata speranza nel “buon esito” delle azioni militari programmate dalla coalizione, perché questa risulta maggiormente munita e tecnologizzata dal punto di vista militare rispetto al proprio avversario.
Che questo possa giustificare un profondo respiro di sollievo? Sì.
Ma è bene si resti sempre coscienti del fatto che esistano movimenti, strategie e “migrazioni” che anche le più moderne tecnologie non possono tenere sotto controllo.
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