Questi i fatti: il 17 dicembre il presidente degli Stati Uniti d’America, Barack Obama, e il presidente della Repubblica di Cuba, Raul Castro, hanno ripreso i rapporti diplomatici dopo un astio tra i due stati durato sessant’anni. Sono stati liberati tre dei cinque agenti dell’anti-terrorismo cubani, imprigionati in America nel 2001 mentre cercavano di sgominare tentativi golpisti nell’isola caraibica. In cambio, gli statunitensi hanno ottenuto la liberazione di un contractor americano e di un cittadino cubano – che lavorava al soldo dell’intelligence americana - detenuti nelle carceri dello stato socialista.
La ripresa dei contatti -ottenuta grazie alla mediazione della Santa Sede – è stata variamente interpretata nel mondo ed ha dato adito a numerevoli congetture. C’è stato chi ha inteso in questi fatti la fine del Comunismo cubano ed il ritorno di Cuba all’interno dello scacchiere geo-politico statunitense, in quella che sembrerebbe, dunque, essere una resa senza condizioni, aggravata dalla senilità dei fratelli Castro. Ci sono state, però, riletture opposte: alcuni, infatti, hanno attribuito ai cubani una grande vittoria diplomatica, per aver condotto alla pari uno scambio di prigionieri con una delle più potenti nazioni al mondo riportando in patria “los cincos”, per la cui liberazione si era creato un movimento d’opinione internazionale. Un’altra delle bizzarre teorie di alcuni politologi della domenica immaginava a Cuba la creazione di uno stato capitalista monopartitico – una sorta di modello cinese – garantito e protetto dal nemico yankee!
Ora, è difficile immaginare realmente quale sarà il futuro delle relazioni cubano-americane, allontanandosi dal piano delle congetture. Tuttavia, ci sono dei punti che possono meglio spiegarci questa svolta storica e grazie ai quali, forse, può essere più comprensibile la dinamica degli eventi futuri. Gli Stati Uniti hanno abbandonato ormai da tempo la fobia maccartista in favore di altri “nemici pubblici”; inoltre, il Sud America, che reclamano sin dalla dottrina Monroe (elaborata 200 anni fa) come una sorta di loro possedimento esclusivo è retto, in questo momento, da 11 governi di sinistra o centro-sinistra con cui è consigliabile un accordo o quantomeno un dialogo, pena l’esclusione delle imprese americane da importanti e vicini mercati in via di sviluppo.
D’altro canto, però, anche Cuba affronta un problema centrale per la sua sopravvivenza economica. Infatti, il principale alleato dello stato socialista nell’ALBA è quel Venezuela in cui il dopo-Chavez è abbastanza incerto e la leadership di Maduro è molto meno salda di quella del principale artefice della “rivoluzione bolivariana” e grande amico di Fidel.Inoltre, la stessa sinistra sudamericana non solo è molto frastagliata ma rischia di subire notevoli tracolli elettorali, come testimonia il caso del PT che nelle ultime due elezioni brasiliane ha perso quasi il 10% di consensi (qualcosa come 4 mln di voti).
Un’ipotetica svolta politica conservatrice in Sudamerica e nei paesi sponsor di Cuba – un’isola non solo geograficamente parlando, visto il pluridecennale embargo voluto dagli USA – sarebbe, forse, fatale per la Repubblica cubana. Probabilmente, prima di dare riletture ideologicamente troppo marcate e di compiere “requiem” prematuri sarebbe d’uopo considerare le contingenze sincroniche in cui è avvenuto lo scambio di prigionieri, prassi normale anche tra nazioni in formale stato di guerra, pensiamo agli accordi israelo-palestinesi o ad i più recenti dialoghi tra russi ed ucraini. Gli unici dati certi sono le parole dei rappresentanti delle nazioni interessate ed a sentire i cubani, il loro Socialismo è tutt’altro che morto. Raul Castro, infatti, ha detto che «Ogni Paese ha il diritto inalienabile di scegliere il suo sistema politico. Nessuno deve pensare che il miglioramento dei rapporti con gli Stati Uniti significhi che Cuba rinunci alle sue idee». Castro ha anche detto che i cambiamenti dovranno essere graduali per creare un sistema di «comunismo prospero e sostenibile». Inoltre, i lavori attualmente in corso dell’Assemblea Nazionale del potere popolare si concentrano proprio sulle riforme e sull’armonizzazione legislativa ed economica del regime comunista cubano: nessuno smantellamento, almeno così pare.
Il giornalista e guerrigliero argentino Jorge Masetti, parlando di Cuba sosteneva che “Existen dos Cubas: la creada para la exportación y la auténtica, la que pugna por ser integralmente una república”. Quale che sia il futuro delle relazioni cubano-americane, l’auspicio più condivisibile è che di “Cuba Libre” non rimanga solo il cocktail.
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