Anche questo Natale è passato e l’anno del Signore bismillesimodecimoquarto volge ormai al termine. Un copione senz’altro vissuto già diverse volte, quello della tregua di dicembre, in cui si cerca di pensare il meno possibile alla fine delle feste, perdendosi nel rosso degli addobbamenti natalizi, e dopo ancora in quello di cravatte, foulards e altri indumenti da procurarsi per la notte di San Silvestro. Cos’ha questa fine d’anno di diverso da tante altre? Davvero poco, giusto però il dettaglio che, già all’antivigilia della Natività, sono incominciate le pubblicazioni di Torquemada.
È inutile indugiare in ulteriori auspici o dichiarazioni di intenti. Bastano il manifesto e le presentazioni, più o meno estese, che i più accorti fra i nostri “venticinque lettori” avranno già visionato. In questo sproloquio di fine anno è sufficiente esprimere la soddisfazione di vedere finalmente avviato questo progetto dall’indole incendiaria; e compiacersi che questa rivista di inquisizione telematica abbia iniziato a disporre e condurre le sue meticolose e pedanti indagini.
Qualcuno indubbiamente sarà riuscito a storcere il naso semplicemente per aver dovuto richiamare alla mente il clero spagnolo del quindicesimo secolo. Sai e tonsure destano ricordi di epoche tenebrose, spettri di tempi difficili che sarebbe preferibile obliare. Da dove sortiscano queste scomode, ma vitalissime, rimembranze a cinque secoli di distanza, è una domanda lecita, interessante, e si può ben dire obbligata; purtroppo però se volessimo svolgerla adesso, riusciremmo a travalicare la vaghissima linea del nostro tema. Riprendendo dunque a parlare poco seriamente, torniamo a respirare l’area sublime e ammuffita dei tufi bruni del tardogotico, che di lì a pochi anni, sarebbe stata spazzata via e accantonata per sempre, addirittura in un solo istante, da un solo uomo, da un solo stivale che toccava la sabbia: il 12 ottobre del 1492. Il medioevo, prima di questo capodanno del nuovo mondo, dopotutto era brutto per colpa di quei fanatici dal pizzetto brizzolato: “non l’avete visto Il nome della rosa?”
Adesso i tempi sono cambiati: le invenzioni della modernità e le rapide del progresso hanno divelto l’ignoranza per sempre. Non ci sono più analfabeti, ma al minimo semicolti. Cosa riuscirebbe a dire S. Pietro d’Arbués di fronte alla chiesa cubo e al politicamente corretto, ammesso che si risvegli oggigiorno dal martirio.
Ma il 2014 è stato tanto diverso dal 1478? Togliendo lo stato della tecnica, i due continenti in più, Piero Angela e il passaggio a Nord Ovest, si possono trovare delle corrispondenze tra l’anno che sta per finire e quello in cui fu istituita l’Inquisizione Spagnola?
Proviamo, in un vortice discendente di serietà, a cercare qualche convergenza. Il 1478 si aprì all’insegna dell’espansione moscovita colla presa, senza combattere, di Novgorod da parte di Ivan III il grande. Più o meno la stessa cosa non vale per il 2014, in cui abbiamo assistito al ritorno, anche qui senza colpo ferire, della Crimea alla Russia? Pensate che l’allargamento territoriale causò ad Ivan III non pochi problemi coi mercanti della Lega Anseatica, proprio gli stessi avidi argentari baltico-tedeschi che danno sanzioni e fastidi a Putin, anche se dietro la ditta dell’Unione Europea. Ah queste corporazioni di banchieri che indebitano i principi, oggi più di allora!
In Italia all’epoca aveva luogo la congiura dei Pazzi, e proprio pochi mesi fa c’era ancora del baccano fra i toscani con Matteo Renzi che scalzava Enrico Letta dalla presidenza del consiglio, inaugurando forse una nuova signoria. Cinquecentotrentasei anni or sono si vedeva un gran movimento in Vaticano colle ristrutturazioni di Sisto IV, e similmente, a quanto pare, con Francesco I, anche se questa volta l’edilizia c’entra poco…
Nel 1478 Boabdil di Granada si godeva ancora la frescura dell’alhambra, Costantinopoli non era caduta da molto tempo, e la minaccia saracena era avvertita come reale e incombente. Anche oggi corrono voci di un’ombra a oriente: proprio dal 2014 sulla terra cammina di nuovo un Califfo, non più ovviamente Al Mustanjid, o Maometto II e il suo Gedik Ameht Pascià, che nel 1480 avrebbe martirizzato gli 813 beati idruntini, ma Abù Bakr al Baghdadi. Non meno martirizzatore di Cristiani questo sanguinario signore dell’Iraq e del Levante.
Sempre nel 1478, l’isola di Britannia ospitava un regno in più, quello di Scozia, con a capo Giacomo III Stuardo, principe cristianissimo, tanto che nel ’72 era riuscito a far elevare la arcidiocesi di St. Andrews al rango metropolitano; e nel 1486 avrebbe ricevuto la rosa d’oro benedetta con cui il papa (questa volta Innocenzo VIII), dal concilio di Tours ad oggi, onora regnanti e reggitori dei paesi cristiani. Giacomo, re tanto devoto, era però mal visto dai sui sudditi per la politica troppo favorevole all’odiata Inghilterra. Quest’ultimo paese nel 1603 avrebbe tolto la Scozia dal novero delle nazioni. E per la triste ironia della storia, proprio in questo 2014 che volge alla fine, il popolo delle Highlands, che per trecento anni aveva con fierezza reclamato l’indipendenza, conquistata rumorosamente e faticosamente la ghiotta occasione di un referendum, ha preferito restare nel Regno Unito.
Considerando ora il paese d’origine dell’Inquisizione, la Spagna, ci sarebbero talmente tante cose di cui discutere, che tutto il tempo rimasto al 2014 non basterebbe. Mi limiterò a riportare che a giugno re Juan Carlos I di Borbone e Borbone delle Due Sicilie ha lasciato il trono da cui ora regna suo figlio Filippo VI. A proposito di avvicendamenti reali, questa sera il presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano, potrebbe non parlare soltanto di lavoro, di tempi duri, di ricerca, di giovani e di eccellenza apprezzata nel mondo, come suole fare da otto anni quando si rivolge agli italiani a fine dicembre. Vedremo tra qualche ora.
Tornando al passato, nel quattrocento era dappertutto viva la memoria delle grandi pestilenze del secolo precedente e senza dubbio ai primi posti di una classifica delle angosce di allora c’era la peste nera. Anche nel XXI secolo il terrore delle epidemie tiene ostinatamente la testa della graduatoria. Il caso dell’ebola, il cui panico è cresciuto fino a livelli non proporzionali ai rischi effettivi (come già da altri inquisitori qui osservato) ne è l’ esempio più appariscente.
I dati dei “perché” più cercati su Google dagli utenti di lingua italiana, non solo confermano questa inquietante tendenza, ma sottolineano anche come il timore si declini in forme squisitamente congruenti ai cliché sul medioevo. Al primo posto troviamo “perché vengono le blatte”, e al sesto “perché vengono i pidocchi”. Il più razionale, e oserei dire quasi “illuministico”, “bugiardino” è solo in terza posizione, dietro a “perché Pepa muore”. Ecco dove vedere la classifica completa. Lascia un po’ di tristezza il “perché si soffre” in quinta posizione. E senza tema di smentite si può affermare che il fatto che una oceanica quantità di persone cerchi di autodiagnosticarsi patologie attraverso i motori di ricerca, fa sorgere un certo rimpianto di barbieri e cerusici quattrocenteschi.
Per quanto abbiamo considerato fin qui, qualche analogia tra l’ultimo quarto del quindicesimo secolo e il primo quarto del terzo millennio dovremmo averla individuata. E forse ora converrete che Tomàs de Torquemada, o chi dei suoi, potrebbe esprimersi ed essere capito anche nel tempo presente. Dunque tornando ai trend di Google, possiamo finalmente osservare come la risposta ai problemi contemporanei che gli italiani invocano a gran voce sia chiaramente l’inquisizione. La top ten dei “come fare” più ricercati del 2014, registra infatti in prima posizione proprio il termine: “barbecue”.
Non si può concludere senza augurare al Cortese Lettore un focoso 2015.
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