La ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista Science ha fatto il giro del mondo. Ma al di là dei titoloni il messaggio resta: “prevenire è meglio che curare!”
La notizia dello studio pubblicato su Science riguardante la correlazione tra “sfortuna” e tumori è rimbalzata su tutte le testate giornalistiche, dalla TV al cartaceo, dai quotidiani online ai social network. «Tumori, la ricerca shock: ne causa più la sfortuna che lo stile di vita» oppure «Tumori, altro che fumo e cibo: “Due su tre sono colpa della sfortuna”». Questi sono alcuni titoli che milioni di lettori hanno visto scorrere sui propri pc, tablet e smartphone.
Al di là di semplificazioni ed errate conclusioni che ne possono scaturire, cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.
Tutto ha inizio con la pubblicazione sulla rivista Science della ricerca dei professori Tomasetti e Volgestein, il primo matematico, il secondo genetista, entrambi ricercatori a Baltimora. Nel loro studio, gli scienziati hanno elaborato un complesso modello matematico in grado di calcolare il rischio di sviluppare una neoplasia attribuibile al “caso”. Per fare ciò, sono state vagliate 31 tipologie di tumori umani escludendo i fattori genetici ed ambientali e concentrandosi su quei fattori legati alla bad luck, la “cattiva sorte” per intenderci…
I risultanti della ricerca possono sembrare sconvolgenti. La “sfortuna” inciderebbe per i 2/3 sullo sviluppo di un tumore, contro 1/3 dei fattori ambientali, comunemente conosciuti come “fattori di rischio”.
Quali sono le basi biologiche di questo processo?
In sintesi, tutte le cellule del nostro organismo, sin dalla vita in utero, originano e si rinnovano da una riserva di cellule dette “staminali”, potenzialmente in grado di riprodursi per un tempo pressoché illimitato e di rinnovare così le cellule andate in contro a senescenza o a morte.
Nell’atto della riproduzione cellulare, la cellula staminale madre replica il proprio DNA con estrema accuratezza, correggendo eventuali errori di replicazione e preservando le generazioni cellulari successive dallo sviluppo di modifiche nel proprio patrimonio genetico che potrebbero trasformare le stesse in cellule “impazzite”, capaci cioè di dar luogo ad un tumore.
Per quanto possa essere affidabile e preciso, il processo di replicazione del DNA porta con sé un esiguo ma non irrilevante numero di errori.
Questo “errore intrinseco”, assolutamente casuale, inciderebbe per i 2/3 nello sviluppo dei tumori. Il concetto di errore di replicazione, tuttavia, era già conosciuto da tempo; Volgestein e Tomasetti si sono “limitati” -si fa per dire- ad elaborare una stima quantitativa di questa componente.
Quali sono le prospettive dello studio e qual è il messaggio per i non addetti ai lavori?
Dai titoli letti sui giornali, sembrerebbe passare il messaggio che i fattori di rischio siano poco rilevanti nella genesi dei tumori. In realtà essi contano e come: basti pensare che il 90% dei tumori al polmone è correlato al fumo di sigaretta o che la stragrande maggioranza dei tumori della cervice uterina sono conseguenza dell’infezione da Papilloma virus. O, ancora, che una dieta povera di frutta e verdura aumenta il rischio di sviluppare tumori del colon. In altre parole, la correlazione tra tumori e fattori di rischio è resa evidente da una mole inossidabile di evidenze.
Non tutti i tumori, poi, sono uguali. Enormi sono le differenze in cause, decorso, aggressività di ciascun tipo. Lo studio, infatti, riferisce che l’effetto della “cattiva sorte” sia diverso in ciascuna tipologia di tumore presa in esame. Un altro aspetto rilevante, non contemplato nella ricerca, è la differenza di incidenza dei singoli tumori all’interno delle varie popolazioni. E’ noto, infatti, per citare un esempio, che il tumore all’esofago (considerato dagli scienziati di Baltimora tra i tumori dipendenti dalla “sfortuna”), sia decine di volte più frequente nella popolazione cinese rispetto a quella americana. A seguire alla lettera le conclusioni dello studio, verrebbe da chiedersi se i cinesi siano più sfortunati degli americani. In realtà è più lecito pensare che la causa di maggior incidenza di questo tumore sia dovuta a particolari fattori genetici e stili di vita di quella popolazione.
La ricerca, dunque, richiede conferme, approfondimenti e risposte. E siamo certi che verrà fuori un fervente dibattito scientifico in tal senso. Ad oggi, per quanto le conclusioni dello studio siano clamorose, esigua se non nulla sarà l’influenza sull’importanza della prevenzione, ormai suffragata da migliaia di ricerche accumulate negli ultimi decenni.
Lo stesso vale per la componente genetica o familiare correlata allo sviluppo di cancro: è indiscutibile il rischio correlato, ad esempio, alla presenza di mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2, nello sviluppo di tumori maligni della mammella o dell’ovaio in giovani donne, così come la presenza di mutazioni ereditarie in alcune neoplasie endocrine (MEN).
Lo strumento tuttora più valido nella cura efficace dei tumori è la diagnosi precoce: scoprire l’esistenza di un tumore nei suoi primissimi stadi è cruciale nell’aumentare le probabilità di guarigione completa.
Il controllo degli stili di vita e l’eliminazione dei fattori di rischio resta, dunque, l’obiettivo primario per evitare una grossa fetta di casi di cancro. Con buona pace di coloro che, leggendo i giornali, avevano intravisto la speranza di considerare innocui i propri “vizi”. Obesità, fumo di sigaretta, dieta povera di vegetali e radiazioni restano i nemici principali dalla salute, nonostante i titoloni a sette colonne e le semplificazioni di alcune redazioni!
Mr. Nobody
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