Nel timore di risultare oscuro a chi fosse comprensibilmente ignorante delle tematiche trattate in questa rubrica, prima di procedere con altri post, ne dedicherò uno ai concetti di animalismo, veganismo ed antispecismo. Vestirò dunque i panni del “pedagogo fiacco” (i fan di Guido Gozzano apprezzeranno la citazione) e cercherò di precisare cosa intendo quando uso queste tre parole, che non sono da considerare interscambiabili.
Essendo una realtà molto variegata al suo interno, è difficile dare una definizione univoca di animalismo. Certamente ciò che lo distingue dall’ecologismo è la preoccupazione morale per gli animali come singoli individui, piuttosto che come parte indistinta di uno sfondo ambientale (in questo senso la tutela delle specie a rischio di estinzione si colloca al confine tra animalismo ed ecologismo). Forme di animalismo moderato sono il cosiddetto protezionismo e la zoofilia, che hanno a cuore il benessere degli animali, ma non mettono in discussione il loro stato di inferiorità rispetto all’umano: penso per esempio ad alcune associazioni che combattono il fenomeno del randagismo (o la sperimentazione animale), senza adottare però la teoria antispecista e la pratica del veganismo, di cui tratterò tra poco. Meno paternalistici e più radicali sono invece l’animalismo di marca abolizionista e quello liberazionista, che hanno subito fortemente l’influenza dell’antispecismo. Il primo, con una buona dose di fiducia nella riformabilità delle istituzioni tradizionali, si propone di abolire uno dopo l’altro i vari settori di sfruttamento degli animali, dal loro uso nei circhi a scopo ricreativo, fino all’allevamento a fini alimentari. Il liberazionismo invece, secondo una strategia massimalista, colloca la liberazione di tutti gli animali in seno ad una più ampia rivoluzione della cultura, della politica e dell’economia umane e cerca di stabilire contatti con altri movimenti potenzialmente sovversivi.
Il veganismo (o veganesimo) è uno stile di vita che prevede l’esclusione di qualsiasi prodotto di origine animale: niente carne, pesce, latte, uova, miele, oggetti in pelle, lana o piuma; secondo alcuni, nemmeno quei farmaci, cosmetici o detergenti che sono stati testati sugli animali. Per il suo integralismo si differenzia dunque dal vegetarismo (o vegetarianesimo), che ammette gli alimenti, gli abiti e i manufatti che non richiedano l’uccisione diretta degli animali (ad esempio il latte o la lana). Il veganismo ha avuto una discreta diffusione solo dopo gli anni Settanta del Novecento con la nascita dell’antispecismo. Ciononostante per essere vegani esistono motivazioni differenti rispetto a quelle etico-politiche proprie dell’animalismo antispecista. Da sempre infatti varie comunità religiose hanno rifiutato l’onnivorsimo per ragioni di purezza e di continenza; moltissimi tutt’oggi sono convinti che la carne e i latticini abbia effetti nocivi sulla salute umana; negli ultimi decenni inoltre è emersa una grave preoccupazione per lo spreco di risorse che l’allevamento intensivo comporta a danno dei Paesi poveri e per le sue enormi ripercussioni sull’ecosistema (in termini di deforestazione, impoverimento del terreno, inquinamento delle acque et cetera). Tutte queste considerazioni, rispettivamente cultuali, salutiste, umanitarie ed ambientaliste, rientrano nella categoria dei cosiddetti argomenti indiretti, che, se tolgono terreno allo sfruttamento e allo sterminio degli animali, lo fanno tuttavia in virtù di interessi prettamente umani e corrompono, contaminandole, le istanze puramente animaliste.
L’antispecismo invece consiste in quella corrente filosofica che si oppone allo “specismo”, dove con l’espressione specismo si intende l’ideologia giustificazionista che legittima la discriminazione su base di specie: una volta appurato che anche gli esseri umani sono animali a tutti gli effetti, si chiama specismo quella propensione squisitamente umana a stabilire delle gerarchie tra le varie specie, ponendo al di sotto di sé tutti gli altri animali. Individuando cioè delle peculiarità esclusivamente umane (come l’uso complesso del linguaggio, la tecnologia o il presunto possesso di un’anima immortale) lo specismo fa sì che la vita e la libertà degli altri animali perdano di valore e possano dunque essere subordinate al proprio tornaconto. È l’ideologia per la quale, se ci ripugna l’idea di imprigionare, ingrassare e macellare un essere umano, lo stesso trattamento riservato ad un suino ai più risulta perfettamente accettabile. Paradossalmente dunque non è l’antispecismo a sorgere come reazione difensiva in risposta allo specismo, ma proprio l’opposto: è lo specismo che si prefigge infatti di garantire la continuazione di quelle pratiche di sfruttamento che non troverebbero altrimenti nessuna giustificazione, se non nella disparità di forze tra l’uomo e gli altri animali. I due neologismi (specismo e antispecismo) hanno avuto la loro fortuna a partire dalla pubblicazione, nel 1975, di Animal Liberation del filosofo utilitarista neozelandese Peter Singer. Attualmente, però, è in corso un processo di rielaborazione che sta portando ad una sorta di antispecismo della seconda navigazione (per dirla con Platone), che prende a riferimento gli autori della scuola di Francoforte ed altri esponenti della filosofia contemporanea continentale. Più che alla concezione liberale dell’allargamento progressivo dei diritti fondamentali a fasce sociali via via più degradate (fino a superare le barriere di specie e a comprendere quindi gli stessi non-umani), questo secondo antispecismo si fonda sulla critica dell’antropocentrismo e della “cultura del dominio”. Ambisce in particolare allo scardinamento dei valori di quella cultura patriarcale e pastorale che sta alla base anche di altre forme discriminatorie, come il razzismo e il sessismo. Ovviamente chi assume una posizione antispecista rigetta l’uso di qualsiasi prodotto animale e normalmente diventa, oltre che vegano, un attivista animalista. Se l’animalismo ottocentesco, intriso di sentimentalismo e di pietismo gratuito, rischiava di degenerare in un passatempo borghese, riservato a poche anime belle, con l’affermazione dell’antispecismo all’interno del movimento (e la sua graduale politicizzazione in senso eversivo) queste derive sono state in parte arginate.
Su questi temi suggerisco la lettura dell’opuscolo Antispecismo. Per una nuova etica della convivenza (2009), edito dall’associazione Oltre la Specie, e il saggio di Aldo Sottofattori per la rivista Liberazioni (numero 12) Gli antispecismi e le loro pratiche, ai quali mi sono rifatto per questo articolo.
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