Amedeo Guillet nasce il 7 febbraio 1909 a Piacenza, in una famiglia piemontese di lunga tradizione militare. Esce nel 1931 dall’Accademia di Modena, con il grado di sottotenente di Cavalleria. Solo lo scoppio della Guerra d’Etiopia gli impedisce di gareggiare alle Olimpiadi di Berlino, nella squadra italiana d’equitazione. Chiede piuttosto d’essere assegnato ad un reparto di spahis libici, alla testa dei quali combatte in Abissinia, venendo ferito. Decorato a Tripoli da Italo Balbo in persona, organizza il corteo equestre che consegna al Duce la Spada dell’Islam. Partecipa alla Guerra di Spagna, comandando prima un reparto di blindati e poi un tabor di cavalleria marocchina. Combatte da Santander a Teruel, guadagnandosi quattro decorazioni spagnole. Il suo posto è però in Africa, dove torna poco dopo, al comando del 7° squadrone di savari in Libia.
Nel 1939, è trasferito in Africa Orientale, al comando del Gruppo Bande Amhara, una formazione irregolare di cavalleria formata da 1700 tra eritrei, etiopi e yemeniti. In un’azione militare nel Dougur Dubà, continua a combattere illeso, nonostante due cavalli muoiano sotto di lui. Si guadagna così la Medaglia d’Argento al Valor Militare, l’ammirazione dei coloni italiani e la stima dei militari indigeni, che lo chiamano Cummandar As-Sciaitan (“Comandante Diavolo”). Guillet mostra rispetto verso le popolazioni locali, nemici compresi, e tratta i suoi soldati alla pari, permettendo loro di mantenere usi e costumi propri e di condurre seco le proprie famiglie. Egli stesso, sfidando le leggi razziali, vive con Khadija, figlia di un capotribù. Il suo valore militare e umano si manifesta pienamente durante la sfortunata difesa dell’Impero coloniale italiano.
Alla Battaglia di Agordat (21 gennaio 1941), il suo gruppo armato di spade, pistole e bombe a mano, carica a cavallo la fanteria e i carri britannici, che rispondono sparando ad alzo zero. È grazie a questo coraggioso sacrificio che le forze italiane riescono a sfuggire all’accerchiamento. Tuttavia, l’Esercito Britannico è troppo forte, e di lì a poco le forze italiane capitolano. La resa non impedisce però al Comandante Diavolo di continuare a combattere contro le forze di Sua Maestà. Spogliatosi dell’uniforme, col suo gruppo di fedelissimi indigeni, guida una strenua guerriglia contro le forze alleate, compiendo ogni sorta di scorrerie e sabotaggi. Dopo otto mesi, incalzato dal nemico, congeda gli uomini rimasti e resta alla macchia a Massaua. Col nome di Ahmed Abdallah al-Redai, sfugge ancora alla cattura e tenta di attraversare il Mar Rosso. Aggredito e depredato dai pirati una prima volta, riesce finalmente a raggiungere lo Yemen, con un lasciapassare britannico.
Qui, il monarca locale, l’Imam Yahia, lo prende a benvolere e lo arruola come Gran Maniscalco di Corte, con il compito di istruire la guardia a cavallo e gli stessi figli del sovrano. Contro il volere dell’Imam, nel giugno ’43, Guillet torna a Massaua, dove s’imbarca per l’Italia su una nave della Croce Rossa, fingendosi un civile. Arriva il 3 settembre a Roma, dove ottiene la promozione a maggiore, e domanda mezzi per proseguire la guerriglia in Africa. Tuttavia, si è appena consumata l’onta di Cassibile, e il Regno d’Italia ha cambiato campo. All’annuncio dell’armistizio, riattraversa la Linea Gustav e si presenta a Brindisi, al servizio del Re. Nella sua nuova mansione di generale di brigata, nei ricostituiti servizi segreti militari, conduce una serie di missioni, culminando nel recupero della Corona del Negus d’Etiopia, sottratta ai partigiani garibaldini.
All’indomani del 2 giugno, fedele ancora una volta a Casa Savoia, si dimette dall’Esercito. Re Umberto II gli vieta però di abbandonare il Paese per seguirlo: «Noi passiamo, l’Italia resta». In compenso, lo nomina Barone, nel 1964. Si dedica quindi alla carriera diplomatica, dove trova comunque il modo di distinguersi, diventando confidente di governanti stranieri quali Re Hussein di Giordania e Indira Gandhi, e salvando alcuni colleghi stranieri durante un tentativo di golpe in Marocco. Trascorre gli anni della vecchiaia in Irlanda, ad allevare cavalli. Solo nel 2000, torna in Eritrea, accolto dai sopravvissuti tra i suoi soldati. Muore ultracentenario a Roma il 16 giugno 2010, ed è sepolto a Capua.
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