A fianco del Donbass antifascista. Contro USA, UE e NATO, la scritta che leggo sul muro è firmata da uno dei tanti centri sociali operativi a Roma Sud, non mi sorprende: so che se riesci a dare l’aggettivo di “antifascista” a una qualunque battaglia – politica o metapolitica che sia – la teppaglia dello squadrismo rosso si prodigherà a farne bandiera il prima possibile.
Sorge però spontaneo un doveroso, per quanto forse originale parallelo storico: come si fa, c’è da chiedersi, a conciliare gli slogan a sostegno delle Repubbliche Popolari in questione con altri slogan – come il classico “25 Aprile SEMPRE” – volti alla condanna senza se e senza ma della Repubblica Sociale Italiana?
La discrasia intellettuale di questa sinistra, a tal riguardo, è più evidente di quanto non possa apparire in un primo momento: l’esperienza della Repubblica Sociale e quella delle Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk – ma si potrebbero inserire altri casi come la Transnistria- hanno notevoli affinità, al netto delle diverse circostanze storiche, sia dal punto di vista della loro genesi, sia, almeno in parte, dal punto di vista ideologico.
Per quanto attiene al fattore genetico infatti, è facilmente riscontrabile come, sia la R.S.I. che la cosiddetta Nuova Russia (progetto statuale federativo delle realtà separatiste a Donetsk e Lugansk), siano sorte in contesti bellici e, particolarmente, a seguito di un cambio radicale al governo centrale del Paese.
Sotto il profilo ideologico è evidente il nazionalismo che anima le dette Repubbliche, sorte appunto con la volontà di liberazione del proprio popolo di riferimento (etnicamente individuato); sotto lo stesso profilo è, altresì, individuabile negli U.S.A. e (soprattutto per quanto attiene al Donbass) nell’apparato politico sovranazionale dell’Occidente, un comune nemico, fautore e promotore di un liberalismo morale ed economico osteggiato tanto dalla Repubblica Sociale che dalle Repubbliche Popolari.
Interessante ed ironica si fa, a questo punto, la posizione dei centri sociali, la cui ipocrisia a riguardo può essere criticata sotto due aspetti: il primo, quello attinente alla condanna della Repubblica “fascista”; l’altro attinente alla difesa del Donbass “antifascista”.
Riguardo al primo aspetto, infatti viene da chiedersi perché la sinistra radicale non guardi almeno con simpatia all’impianto politico e programmatico della R.S.I., che può esser definita – almeno nelle sue dichiarazioni di intenti – come l’esperienza statuale italiana più vicina al socialismo.
In effetti basterebbe leggere il Manifesto di Verona, documento programmatico del fascismo repubblicano, per rendersi conto di quanto la Repubblica fascista avrebbe potuto essere baluardo contro all’ideologia liberale e all’American way of life, i quali sarebbero diventati dominanti nell’italietta del dopoguerra, vassalla fedele della NATO e dell’UE.
Tornando al Manifesto di Verona, notiamo al punto 10 un abbozzo di quella che oggi definiremmo “funzione sociale della proprietà”; per non parlare della cogestione delle aziende ad opera delle rappresentanze operaie per la fissazione dei salari e la ripartizione degli utili secondo criteri di equità (punto 12).
Al punto 13 troviamo addirittura la possibilità di esproprio delle terre incolte o mal gestite, le quali sarebbero state poi lottizzate tra gli stessi braccianti.
Oltre a ciò, si riscontra la promozione del – tanto sbandierato a sinistra – diritto alla casa (punto 15) e la fissazione di minimi salariali a livello nazionale (punto 17).
Un’impostazione decisamente socialisteggiante – che aveva infatti trovato sostegno in personaggi singolari come il comunista Nicola Bombacci, e prima ancora nel noto storiografo Delio Cantimori che, a guerra finita passò al Partito Comunista – peccato non avesse il titolo di “Repubblica Popolare” (sebbene lo stesso Corriere della Sera non esitò a definirla così) e quindi non può piacere ai compagni nostrani.
E’ vero, si potrebbe eccepire il carattere reazionario (punto 6) e nazionalista (punto 18) che animava il documento sopracitato, ma qui la contraddizione diventa palese se lo si raffronta con le basi ideologiche delle tanto acclamate Repubbliche Popolari del Donbass.
Declinare l’antifascismo dichiarato dai militanti filo-russi è questione certamente complessa, ma senz’altro non corrisponde all’ideologia pacifista, internazionalista e ateizzante promossa dai fan della canna libera e del relativismo etico.
L’antifascismo del Donbass è, in primis, parte integrante della storia della Russia sovietica: non sfugge infatti il parallelo tra la “grande guerra patriottica” con la quale l’URSS respinse l’iniziativa militare dell’Asse sul proprio territorio, e la guerra civile attuale nell’est Ucraina, che vede impegnate sul fronte di Kiev organizzazioni politiche e paramilitari di ispirazione neo-nazista quali il Pravy Sector, il battaglione Azov e il battaglione Donbass.
Questo antifascismo però, dimostra alla prova dei fatti, peculiarità che lo rendono quanto mai distante dalla visione del mondo portata avanti dai centri sociali nostrani: è stato rilevato – sebbene le fonti a riguardo non siano molte – che la Costituzione della Repubblica Popolare di Donetsk sosterrebbe apertamente la famiglia tradizionale, oltreché il diritto alla vita del nascituro, per non parlare dell’Ortodossia come religione di stato (le fonti qui e qui). In ogni caso, se anche queste informazioni non risultassero vere, ci sono diverse altre prove che l’antifascismo militante in salsa filo-russa non è in alcun modo paragonabile a quello comunemente inteso nel nostro Paese; basta vedere chi è effettivamente al comando dei ribelli: personaggi come Igor Strelkov, il quale in un’intervista ha avuto modo di affermare: “La gente del Donbass combatte per la propria terra, la terra degli antenati.(…) La gente del Donbass lotta per la Giustizia, per il diritto di essere russi, per la cultura russa, per l’Ortodossia. (…) la verità è con loro, ma sopratutto Dio è con loro”. Si potrebbe, d’altronde anche citare uno dei suoi aiutanti, Igor Druz, il quale titola un suo recente articolo sulla Nuova Russia con un poco fraintendibile “Мы – русская контрреволюция” (= Noi, la controrivoluzione russa).
Idealismo, sentimento religioso marcatamente ortodosso, nazionalismo panrusso sono quindi ingredienti imprescindibili per questi combattenti; chissà cosa ne potrebbero pensare quei simpaticoni della Banda Bassotti (anche loro accaniti fan degli antifà dell’est ucraino) nel vedere, ad esempio l’icona del Cristo Pantokrator sui carri armati dei loro partigiani.
A conclusione di questa, purtroppo non brevissima, disamina, non si può non concordare con un filosofo di spessore come Costanzo Preve, il quale affermava, riguardo ai ragazzi dei centri sociali: Privi di qualsiasi ragion d’essere storica, costoro, composti di semianalfabeti, intontiti dalla musica che ascoltano abitualmente ad altissimo volume e dallo spinellamento di gruppo, hanno una cultura della mobilitazione, dello scontro e della paranoia del fascismo esterno sempre attuale, ed è del tutto inutile porsi in un razionale atteggiamento dialogico, che pure potrebbe teoricamente chiarire moltissimi equivoci. Ma il paranoico non è un interlocutore.
Che bello, riconosco la scuola roselliana: proibizionismo, fondamentalismo religioso… Pessima la squalificazione gratuita degli avversari (” spinellati”, “paranoici”, “teppaglia squadrista”) e il tentativo di confondere le acque rammentando gli accenti anticapitalisti del fascismo delle origini…