Durante il corso degli studi scolastici a tutti sarà certamente capitato di studiare, o almeno di leggere, la nostra Costituzione, di leggere attentamente i principi fondamentali, i diritti e doveri dei cittadini e via discorrendo, e certamente vi sarete sicuramente domandati, scorrendola, ormai giunti a più di trenta e passa articoli….ma la proprietà privata? … dove l’hanno messa? che fina ha fatto?
Mentre sale la vostra preoccupazione di averla magari saltata, distrattamente, arrivate all’articolo 42 e la trovate; finalmente, era ora! Certamente vi sarete domandati, dato che il 42 non è proprio un numero piccolo, perché non le abbiano dedicato, data la sua grande importanza, un piccolo articoletto tra i sopracitati principi fondamentali, o almeno un cenno tra i diritti e i doveri dei cittadini (dove sarebbe stata in compagnia di altrettanti importantissimi diritti, come la libertà personale, di domicilio, di segretezza della corrispondenza)… non è forse un diritto? Si! ma l’avete trovata sbattuta lì tra i rapporti economici. Perchè?
La parola ad un insigne costituzionalista.
Per cercare di dare una risposta esaustiva a questi interrogativi vorrei affidarmi all’autorevole voce di un Giudice emerito della Corte Costituzionale (di cui è stato Vice-Presidente), dove ha prestato i suoi alti servigi dal 2005 fino all’estate del 2014, Luigi Mazzella, intervistato dal giornalista torinese Sandro Gros-Pietro nel libro “Debole di Costituzione” (Mondadori). Il libro individua quelle che per l’insigne costituzionalista sono le “debolezze” della nostra Carta Fondamentale.
Un passo indietro, la proprietà nel diritto romano.
A far meritare al nostro Paese la fama di “culla del diritto” è certamente stata la disciplina della proprietà nel diritto romano. I romani, un popolo stanziale, fondavano il proprio diritto su due pilastri: nel “neminem laedere”, cioè nell pacifica convivenza degli esseri umani nei loro rapporti reciproici, e nella “proprietà privata”, cioè nel rapporto dell’uomo con le cose (res).
Il disposto Costituzionale.
L’articolo 42 stabilisce al primo comma che “La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati”. Cosa ovvia! ma non è così. Perchè l’articolo prosegue con il secondo comma, che recita “La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.” “Hic sunt Leones” direbbero i romani. La proprietà è sempre stato IL diritto individuale per eccellenza, cardine di ogni ordinamento giuridico che si rispetti, come quello romano; ispirazione per le Costituzioni dei paesi occidentali. La nostra Carta invece, con il secondo comma, mette in luce la prevalenza dell’aspetto economico della proprietà, e non quello individuale che le è proprio, ecco perchè la sua disciplina è posta tra i rapporti economici: e non manca di sottolinearne chiaramente la funzione sociale.
La funzione sociale della proprietà.
Negli ordinamenti d’impronta liberale costituisce un vero e proprio “nonsense”, una contraddizione in termini, predisporre degli strumenti giuridici per assicurare una “funzione sociale” alla proprietà degli individui.
La formulazione dell’articolo 42 risulta perciò criptica e ambigua, poiché risulta assai complicato capire quale si la funzione sociale della proprietà di un privato cittadino:
Le funzioni sono attività umane (es: le azioni di un individuo, di un organo, di un ente), e possono essere sì svolte anche nell’interesse di una collettività; ma non è così per la proprietà privata, che in quanto res, non assolve altra funzione se non quella di soddisfare l’interesse individuale a goderne per sé o per la propria famiglia. Così se la proprietà pubblica assolve propriamente ad una funzione sociale (es: il giardino pubblico) così non può essere per la proprietà privata (es: il giardino di una casa).
Trovare un senso ad una disposizione “criptica”.
Nella nostra Carta si è voluto perseguire una linea di tendenza diversa da quella delle altre Costituzioni degli Stati occidentali. Pur rimanendo la collettivizzazione della proprietà un concetto estraneo alla nostra Carta e tradizione giuridica, lo “spirito” dell’articolo 42 rimane contrario non solo a quello di altre Costituzioni, ma anche alla nostra più antica tradizione giuridica romanistica. Quale dunque è il senso di una tale disposizione?
Tutto il disposto del secondo comma non è che in funzione del del terzo comma, secondo cui “La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale”.
LA PROPRIETA’ PROVATA: le problematiche per l’espropriazione e il diritto europeo.
Se apparentemente non sembrerebbero esservi sostanziali differenze con altri ordinamenti giuridici, il problema si pone in modo drammatico, con l’esporpirazione, per l’entità degli indennizzi. Il secondo comma serve per convalidare e rafforzare una vecchia prassi italiana; quella di corrispondere per i beni soggetti ad espropriazione, un valore risibile, molto lontano dal valore veniale o di mercato del bene, giustificandone l’espropriazione stessa con non ben definiti motivi d’interesse generale.
Il disposto dell’articolo 42, reboante e stentoreo, ha creato non gravi problemi anche alla nostra stessa permanenza nell’Unione Europea. La Corte Costituzionale ha dovuto fare un “triplo salto mortale” per rendere coerenti con le più recenti (rispetto alla nostra costituzione) regole comunitarie, le nostre norme sugli indennizzi per i beni esporpriativi.
Le responsabilità.
L’articolo 42 rimane una prova di come la nostra Costituzione, più che in altre Carte europee, abbia sofferto la presenza in parlamento di un forte Partito Comunista, che ha ispirato orientamenti tutt’altro che liberali, predisponendo un’insufficiente tutela costituzionale della proprietà privata. Oggi quel partito sembra essersi dissolto nel nulla, sepolto da quegli ideali cattolici propri della nostra cultura e tradizione, anche se, almeno nella sua componente politica di sinistra (Dossetti e La Pira), non erano molto dissimili da quelli marxistici. Anche se Papa Francesco ha detto che Marx non ha inventato nulla e che ha copiato le sue teorie da Cristo, si può dire che anche l’integralismo cattolico di Dossettiani, Lapiriani e Co., con il passare degli anni, si sia notevolmente diluito nei suoi eredi del Partito Democratico.
Si può concludere che in un periodo in cui si discute di riforme costituzionali, varrebbe la pena prendere in seria considerazione una ri-stesura completa dell’articolo 42, considerando il fatto che l’accenno alla funzione sociale della proprietà ci abbia notevolmente complicato la vita, non solo nel nostro ambito nazionale, ma anche a livello europeo: eliminare tale accenno non sarebbe certo un male.
Probabilmente a rendere “criptica e ambigua” l’articolo 42 è semplicemente quello spettro, nominato solo verso la fine di questo articolo, di nome “comunismo” o “Marx”. Almeno, come accade con tutti gli spettri, la chiara luce del nome lo ha volatilizzato come spettro e riconsegnato alla ragione.
Non so se ciò possa suonare ingenuo, ma per me l’articolo 42 è piuttosto chiaro, nel suo tentativo di evitare difendere una difesa aprioristica della proprietà. Non so, mi vengono in mente esempi molto banali: il proprietario di un fondo che costruisce con conseguenze nocive su di una falda acquifera, tombe etrusche o chissà cos’altro riservi la vita; un complesso edilizio compromette il comune accesso ad uno spazio di utilità pubblica, e viene così ridimensionato o redistribuito nello spazio.
Il richiamo al diritto romano mi sembra un tentativo di fornire auraticità ad una posizione ideologica e le norme europee non sono certo un modello indiscutibile. Si può poi certo discutere sull’efficacia, l’equità e la trasparenza dei giudici che devono stabilire di volta in volta cosa sia la funzione sociale. Si può poi senz’altro, e lo trovo anche interessante, discutere sulla chiarezza puramente logica dell’art. 42.
Quello che trovo un tantino irritante è il modo aproblematico con cui si presenta una posizione ideologica molto particolare, dando quasi per scontato che l’ideologie concorrenti del comunismo e del marxismo non siano neanche da prendere in considerazione, e la leggerezza con cui si arriva a proporre la modifica dell’articolo. Dopodiché, sono certo consapevole del titolo della rubrica.
E’ stato scomodato Gesù Cristo. Non credo che il suo sia riducibile ad un messaggio sociale, etico o morale, né che questo fosse il senso delle parole di Papa Francesco. Tuttavia, non credo neanche che il messaggio di salvezza cristiano sia socialmente neutrale. Che la luce della sua verità possa illuminare anche il cammino dell’uomo nella società, strappandoci dall’amore di se stessi, dalla brama di opprimere il prossimo e dal bisogno di escluderlo per godere del proprio.