Le ultime partite di stagione sono sempre le più belle, quelle in cui ci si diverte, quelle in cui non si pensa più al campionato; quelle, insomma, in cui il giuoco del calcio emerge in tutta la sua bellezza e in tutto il suo splendore. Quasi tutte sono così. Una, però, non lo fu. Eravamo tranquilli, salvi, sicuri di mantenere la categoria ed in una discreta posizione di metà classifica, che ci permetteva di guardare alle ultime tre giornate di campionato con agio, calma e con un pizzico di malinconia per l’ennesima stagione che si concludeva. Tuttavia, era domenica, una domenica d’Aprile inspiegabilmente fredda, ed il calendario ci metteva di fronte ad una squadra in acerrima lotta per i play-off promozione: roba mica da ridere. La squadra in questione era situata in un paesino a circa 50 km, forse sarà stato per il mal d’auto o forse per l’inutilità di quella partita, ma partimmo in sole 13 persone, più l’allenatore e la dirigenza. Io, da buona riserva, avevo affrontato un riscaldamento pre-partita particolarmente ostico ed impegnativo: due bottiglie di vino invece che una, tanto non giocherò mai e potrò vantarmi a bordocampo senza pericoli; anzi, prendo la radiolina così controllo le altre partite di giornata.
E così, pieni di fiducia e di entusiasmo, partimmo verso il campo degli avversari.
Già a metà del viaggio, però, si consumò la prima tragedia. Incontrammo un enorme mercatino locale, pieno di spezie, profumi e di quella umanità multietnica tipica delle fiere: sembrava quasi la kasbah di Istanbul sotto Solimano il Magnifico. Purtroppo, tra questi effluvi peccaminosi perdemmo due titolari: entrambi fuggirono con delle affascinanti donne straniere, ammaliati dal loro esotismo. Non li rivedemmo più, ma, a quel che so: uno ha aperto la pizzeria “Da Tonino” in un’oasi del deserto del Niger, mentre l’altro è diventato carne prelibata per il tipico gulash della Trasnistria. Tuttavia, il disastro si completò quando, per pagare un cd col meglio di Gianni Celeste e Maria Nazionale, fummo costretti ad impegnare tutte le nostre divise. La partita era ormai a rischio e stavamo per tornare tristi e delusi, ma riuscimmo a giungere alla nostra destinazione grazie all’elemosina di un ambulante africano che ci regalò le divise “semi-originali” del Senegal al mondiale di Corea e Giappone del 2002, più un vecchio cammello che, all’occorrenza, sarebbe stato un ottimo incontrista. E così, meno numerosi ma sempre speranzosi, raggiungemmo il campo da gioco. Fu molto divertente osservare la sorpresa dell’arbitro scorgendo i nostri due attaccanti biondi e pallidi che indossavano le magliette di ElHadji Diouf e Khalilou Fadiga, del resto tipici nomi calabresi. Ahimé, toccò giocare anche a me. Ci furono tante giocate di classe, in quei 90 minuti, ma sicuramente una è da scrivere negli annali del calcio dilettantistico: al minuto ’75, col cammello in un inedito ruolo a fare da terzino di spinta, un tifoso di casa scese dagli spalti e ci passò attraverso le grate del campo un bicchiere di vino ed una fetta di formaggio. Un gesto di sano, vero e giusto fair-play. Così, rinvigoriti dall’amicizia e rifocillati dal vino portammo a termine la nostra eroica partita. Il risultato finale fu un 9-0 per i nostri avversari che si lanciarono verso i play-off, mentre noi cercammo un modo per dare la colpa della disfatta all’arbitro.
Come tutte le grandi storie, anche questa ha una punta di comico: a fine partita, prima di dirigerci mestamente a casa, notammo uno dei nostri dirigenti contemplare assorto un meraviglioso e poetico tramonto, forse in un impeto romantico o in un momento malinconico: sorpresi, gli chiedemmo il perché di questo suo sguardo serioso verso il sole che mestamente declinava dietro le colline e lui così rispose: “Ma quale sole e tramonto, stavo guardando quell’escavatore che mi può servire per il cantiere”.
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