Nihil novi sub sole: ci risiamo con la lotta transnazionale al terrorismo che tocca – tanto la lotta quanto il terrorismo – tutti i paesi a rischio per via del loro garibaldino bellicismo nordafricano e mediorientale. Come reagisce la gioventù europea? Forse con una cameratesca levata di scudi, inorridita facendo quadrato contro il nero straniero? Non proprio: i giovani – e già che siamo pochi rispetto alla popolazione complessiva – scappano in numero sempre più consistente, diretti verso quei teatri di guerra che oramai definiscono i confini. Fonti di intelligence parlano di circa 3400 occidentali nello scenario siriano. Sono i foreign fighters.
Poco tempo addietro, auspicavo in altra sede la diffusione di una “conoscenza laica” delle categorie basilari, dei principi del diritto penale; strumento così onnipresente nella decisioni pubbliche di ogni giorno. Su questa falsariga, dunque, chiediamoci: come è intervenuto il Governo (giammai il pachidermico Parlamento)? Avete indovinato: con il diritto penale, chiaramente! Poche ciance sulle cause a monte di questa inquietante fuga di giovani che rinnegano il benessere e lo sviluppo (giammai il pachidermico progresso) per cui le leadership dicono di adoprarsi: il dato c’è, il processo è in corso e occorre affrontarlo con fermezza così da, citando l’Alfano della conferenza stampa, “rendere l’Italia un posto sicuro nel quale vivere sereni”. Intendiamoci: anche dal punto di vista del rischio per l’ordine e l’incolumità pubblici, il fenomeno rileva per il suo valore simbolico, per il rischio che incarna in termini di percezione soggettiva ben più e ben prima che per la sua effettiva attitudine lesiva: d’altro canto, oramai accettata e persino perseguita la demolizione dello stato sociale, il profondo senso di inquieta insicurezza che s’ingenera è accettato come un dato ineluttabile; in nessun modo la politica ardisce di problematizzarlo come “null’altro che il modo in cui socialmente sono costruiti, nella realtà e nell’immaginario collettivo, i problemi conseguenti ai processi di trasformazione propri della globalizzazione e della crisi delle politiche di welfare”: semplicemente una visione culturalista dell’insicurezza ben espressa nelle parole di M. Pavarini in Sicurezza e diritto penale1; una visione che resta chiaramente aliena ai responsabili della nostra… sicurezza.
La dinamica, per il resto, è semplice: l’accademia riflette e la politica criminalizza; individua il nemico e fa belle conferenze stampa in cui la guerra – giuridica, certamente, ma forse proprio per questo ben più sottile e incisiva perché divien parte del nostro stesso tessuto ordinamentale – vien dichiarata per decreto governativo, in spregio alla esclusiva competenza parlamentare riconosciuta dall’art. 78 della Costituzione! Si badi, non si sta esagerando: la teoria del “diritto penale del nemico” esiste, porta la firma di Gunther Jakobs e professa una radicale capitis deminutio (roba arcaica, sì, di epoca romana: quando ancora non c’erano le costituzioni) della “non-persona” che si opponga all’ordinamento, per ciò estromessa dal circuito delle garanzie costituzionali. L’amministrativizzazione dei provvedimenti limitativi della libertà personale – vedi CIE – ne è una plausibile manifestazione. Ma anche l’attribuzione a prefetti e questori del potere di ritirare il passaporto o di oscurare siti internet, come sta accadendo in Germania, Francia e – con alcune garanzie in più – da noi, incarna l’introduzione legale di limitazioni a libertà fondamentali come quella di movimento o di parola.
E qui entriamo nel merito del recentissimo provvedimento: approvato per decreto legge (lo so che è una notazione ormai dal sapore vintage ma ci tengo ancora e soprattutto nel penale, che ci volete fare?), esso principalmente:
- Istituisce, dopo tanto parlare, la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo (per inciso: in quattordici anni di guerra al terrore, non un attentato sul suolo patrio);
- attribuisce ai questori il potere, soggetto a convalida del giudice, di disporre il ritiro del passaporto qualora sia richiesta la misura della sorveglianza speciale;
- prevede che il Pubblico Ministero che procede per reati di terrorismo possa disporre l’oscuramento di siti internet o la rimozione di contenuti sensibili (non è chiaro se si richiede anche qui la convalida giudiziale);
- crea un inquietante canale di accesso degli 007 ai detenuti, “al solo fine di acquisire informazioni per la prevenzione di delitti con finalità terroristica di matrice internazionale”: va da sé che – ottenuta l’autorizzazione dal procuratore generale che ne vaglia gli stringenti requisiti – nessuna garanzia è prevista per il detenuto, durante lo svolgimento del colloquio;
- aggrava a spron battuto tutte le condotte di istigazione e propaganda condotte per via telematica (come se non fosse effettivamente l’unica, di via);
- criminalizza ulteriormente, spingendo il maglio penale non già soltanto al reclutatore di combattenti, ma anche ora al reclutato (nemico in sé e per sé), alla singolare figura dell’”organizzatore di viaggi” e soprattutto al cosiddetto “lupo solitario” (art. 270 quinquies c.p.), definito come la «persona che avendo acquisito, anche autonomamente, le istruzioni per il compimento degli atti di cui al primo periodo (atti in senso lato destabilizzanti con finalità di terrorismo, ndr), pone in essere comportamenti finalizzati alla commissione delle condotte di cui all’articolo 270-sexies».
Si nota subito che con quest’ultima previsione il fondamentale principio di tassatività – quello che impone una tipizzazione stringente, inequivocabile della fattispecie, così da contenere la repressione e l’arbitrio giudiziale – è completamente obliterato: è meritoria di condanna, infatti, la persona che ha allo stato semplicemente acquisito delle istruzioni, anche per i fatti propri, riguardo al compimento di atti riconducibili a una nozione alquanto lata di destabilizzazione e che semplicemente pone in essere delle non specificate condotte a loro volta meramente “finalizzate al” (e non “consistenti nel”) compimento – solo proprio? O anche altrui? – di atti di terrorismo (ai sensi del vago art. 270 sexies). Siamo all’open-end festival del terrore!
La “razionalità rispetto allo scopo” di tutto questo? Poca, se si condivide l’assunto della psicoterapeuta dott.ssa Margherita Spagnuolo Lobb che “non basta dichiarare reato l’arruolamento con i jihadisti: dobbiamo essere capaci di far vedere ai nostri ragazzi un valore alternativo a tutto ciò che l’Islam propone”; molta, se invece si pensa a quanto ben si presti la lombrosiana fisiognomica di Alfano alla presentazione di un provvedimento sterilmente securitario.
P.S.: il decreto attua la risoluzione ONU 2178/2014 che condanna l’estremismo islamico e terrorista e, per la prima volta, anche il fenomeno dei “foreign fighters”: questi, in soldoni, vengon definiti come individui che espatriano per dedicarsi al terrorismo. Il punto è che, come ci ricorda il politologo francese Eric Rouleau, quello di “terrorismo” (a differenza di quello di “guerra”) è un concetto che la comunità internazionale non è riuscita a definire; fondamentalmente per la semplice ragione che ognuno è terrorista di qualcun altro. Visto che riesce ad esserlo di qualcuno di noi, è proprio così difficile pensare che l’Occidente lo sia dell’Islam? Cambierebbero un sacco di cose, a riconoscere l’alterità.
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