Le rappresaglie più decise, dure e rapide contro l’uccisione di ostaggi da parte dell’IS sono arrivate dai paesi musulmani. Non dagli Stati Uniti, né da alcuna nazione europea. L’uccisione del pilota giordano Muath al-Kasasbeh e la decapitazione di ventuno lavoratori egiziani copti presenti in Libia non sono passate impunite. I governi di Amman e del Cairo si sono mostrati risoluti nell’attuare la rappresaglia a fronte della sorte toccata ai propri cittadini. Nel giro di poche ore bombardieri e caccia sono decollati dall’Egitto e dalla Giordania alla volta di Libia e Siria dove hanno bombardato installazioni militari dei jihadisti dello Stato Islamico. Forze speciali egiziane hanno attaccato direttamente miliziani dell’IS, facendo morti e prigionieri. Il medesimo intervento di forze speciali è stato minacciato dalla Giordania. Nei paesi arabi come mai da mesi a questa parte nella lotta all’IS si sono levate forti e nette voci a condanna dei jihadisti. Il rettore dell’Università di Al-Azhar del Cairo, una delle massime autorità del mondo musulmano sunnita, ha parlato di “crocifissione, decapitazione e mutilazione” quale esemplare punizione per i miliziani dell’IS.
Se in un primo momento erano i paesi occidentali a perseguire una politica che contemplasse anche l’opzione militare, ora sono i paesi musulmani in quanto coinvolti direttamente dalla morte di loro connazionali, a prendere l‘iniziativa in campo militare e a invocare a gran voce vendetta contro gli assassini. E se un’iniziativa militare decisa e una aperta condanna nei confronti dell’IS arrivano da paesi esponenti di quella religione stessa che i miliziani si vantano di professare e porre a fondamento delle loro azioni, allora la carica ideologica che colpisce lo Stato Islamico è di peso specifico molto superiore alle bombe sganciate da qualsiasi aereo della coalizione a guida occidentale. La guerra impostata dall’IS è ideologica, proprio come ideologica è la denominazione dello stato, che si auto-definisce fondato sui precetti della religione islamica e fa della propaganda mediante audio- e video-messaggi il fulcro della sua azione. Un’azione fortemente mediatica, cui una risposta altrettanto mediatica (vedi re Abdullah di Giordania, fotografato in assetto di guerra e alla guida dei bombardamenti contro l’IS), condita da uno stroncamento da autorevoli esponenti dell’Islam può infliggere un duro colpo nel breve termine.
Ma nel medio e lungo termine? È lecito domandarsi se i governi di Giordania ed Egitto perseguiranno in maniera sistematica la lotta allo stato islamico o si limiteranno ad una rappresaglia di forte impatto mediatico ma di scarsa efficacia a lungo termine. La forte delegittimazione subita dallo Stato Islamico agli occhi del mondo musulmano fa pensare come un coinvolgimento sistematico dei paesi musulmani possa costituire la chiave di volta per una svolta nel conflitto mediorientale. Per sradicare l’opinione che siano solo i civilizzati paesi occidentali a poter affrontare, colpire e sconfiggere la barbarie che caratterizza lo Stato Islamico. Per eliminare la convinzione che lo Stato Islamico abbia in realtà un qualche legame fondato con l’Islam o che sia peggio ancora legittimato dal mondo musulmano e dalle sue massime autorità e governi.
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