«Ho solo svolto il mio dovere, e ciò che mi è stato detto di fare, il meglio che ho potuto.»
Il contadino finlandese Simo Häyha nasce il 17 dicembre 1905 nel villaggio di Rautjärvi, nell’allora Granducato di Finlandia, provincia dell’Impero Russo. Come i suoi compaesani, fin da ragazzo, lavora la terra, completando la magra dieta a base di patate e segale con i frutti della caccia e della pesca. All’età di vent’anni, si arruola nella milizia (Suolejuskunta), dove acquisisce un addestramento militare di base e si distingue per le sue doti di tiratore, al punto di vincere numerosi premi.
Quindici anni più tardi, l’indipendenza della sua piccola patria nordica è nuovamente in pericolo. I Russi non hanno apprezzato come il Maresciallo Mannerheim, nel caos della guerra civile che ha dilaniato l’impero zarista a seguito della Rivoluzione, abbia ritagliato uno Stato al proprio popolo. Ancora meno hanno gradito la spietata repressione dei comunisti finlandesi, condotta dal medesimo, negli anni immediatamente successivi. Tanto più, poi, che le postazioni finlandesi sono fin troppo vicine ai sobborghi di Leningrado. Forte del patto firmato con la Germania e grasso delle spoglie polacche, a fine novembre 1939, l’Orso russo lancia il suo ultimatum alla Finlandia, guidata dallo stesso Maresciallo di vent’anni prima.
Il resto è storia: Simo è richiamato alle armi, nella 6ª compagnia del 34º reggimento cacciatori, e prende parte, sul fronte di Kollaa in Carelia, alla durissima resistenza contro l’invasione sovietica, combattuta nella taiga gelata, nelle brevissime giornate dell’inverno artico. I suoi risultati restano impressionanti: le sole uccisioni confermate ammontano a 505, nell’arco di un centinaio di giorni; in pratica, una per ogni ora di luce. A queste, andrebbero aggiunti altri 200 morti con il fucile mitragliatore Suomi M-31, ma si parla di oltre 800 vittime in tutto, il che fa di lui il cecchino più letale di tutti i tempi.
Certo, la tattica sovietica di avanzare nelle tenebrose foreste del nord con colonne di fanteria e attaccare ad ondate si prestava a subire un numero elevato di perdite, ma Häyhä, con la sua tecnica personale, supera di gran lunga i suoi colleghi. Quest’ometto di 1,60 m si sposta rapidamente con i suoi sci, completamente vestito di bianco, portando con sé solo una razione di cibo, armi e munizioni. Si mimetizza perfettamente nella neve, arrivando a compattare la neve di fronte alla canna affinché non si sollevasse con lo sparo e a masticare neve, per raffreddare il fiato e non creare condensa. Per lo stesso motivo, rinuncia al mirino telescopico, in favore delle tacche di mira segnate sul suo Mosin-Nagant M-28 “Pystykorva” (“Bassotto”), il tipico fucile russo in forza alle milizie finlandesi.
Man mano che cresce la fama della “Morte Bianca”, il nemico cerca di stanarlo ed eliminarlo in ogni modo, sia ricorrendo ad altri cecchini, sia col fuoco d’artiglieria. Alla fine, il 6 marzo 1940, uno sparo gli porta via la guancia sinistra. Riprende coscienza in ospedale dopo una settimana, alla firma dell’armistizio tra i due Paesi. Nonostante le dure condizioni di pace, la Finlandia non sarà territorio sovietico. Il Maresciallo Mannerheim in persona lo promuove da caporale a sottotenente.
Trascorre il resto della sua vita in campagna, cacciando alci e allevando cani. Quando gli chiedono come abbia fatto a sparare così bene, risponde, con semplicità: «Pratica».
Muore nel villaggio di Ruokolahti, il 1 aprile 2002, all’età di 96 anni.
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