In questi ultimi tempi Martin Heidegger (1889-1976), soprattutto in seguito alla recente pubblicazione in Germania dei primi tre volumi dei Quaderni Neri (Schwarze Hefte), è divenuto oggetto di una campagna diffamatoria a causa della sua adesione al regime nazionalsocialista che governò la Germania dal 1933 al 1945. Attraverso questa sua – indubbiamente deprecabile – scelta politica, che fra l’altro gli costò la proibizione dell’insegnamento tra il 1945 e il 1951, si vuole condannare in blocco tutto il pensiero heideggeriano. Secondo i suoi detrattori l’appoggio dato dal filosofo tedesco alla dittatura di Adolf Hitler non sarebbe qualcosa di accidentale bensì lo sbocco naturale della sua filosofia. Noi non solo non condividiamo questa tesi ma anzi riteniamo che questo attacco verso la figura di Heidegger non sia casuale. A nostro avviso egli viene demonizzato dall’attuale pensiero unico dominante perchè è stato un critico del capitalismo sia nel suo primo periodo, definito un po’ impropriamente «esistenzialistico» che nel suo secondo periodo dopo la cosiddetta «svolta» (Kehre). L’autore di Essere e Tempo infatti ha fornito attraverso la sua elaborazione filosofica strumenti concettuali indispensabili per avanzare una critica radicale alla realtà esistente. Analizziamo ad esempio il concetto heideggeriano di «morte». Essa viene identificata dal filosofo come la possibilità «più propria dell’Esserci», scegliendo la quale l’uomo ritrova il suo essere più autentico. Mentre tutte le altre possibilità infatti pongono l’uomo in mezzo alle cose o fra gli altri uomini, la possibilità della morte isola l’uomo con se stesso. Nel riconoscere la possibilità della morte, l’uomo ritrova il suo essere più autentico e «comprende» veramente se stesso. L’esistenza inautentica, l’esistenza del «man» del «Si» anonimo ed impersonale in cui tutto è livellato, reso convenzionale e insignificante, è una costante fuga dinnanzi alla morte. L’individuo la considera come un caso fra i tanti della vita di ogni giorno e cerca di non pensarci. Mentre nelle società precapitalistiche (ma ancora nel capitalismo «borghese») la morte era considerata un evento naturale della vita, oggi essa è segregata, condannata, nascosta e fatta oggetto di imbarazzo. Un tempo il moribondo veniva accudito a casa dai parenti sino al momento del trapasso all’interno di un rituale che teneva unita tutta la famiglia. Gli anziani raccontano di come fosse assolutamente normale portare i bambini a vedere il corpo del defunto nel suo letto. Attualmente invece vediamo divi del cinema o della musica che attraverso la chirurgia plastica cercano (molte volte producendo spettacoli ridicoli e penosi) di eliminare i segni del tempo che passa. Oggi non si muore più nel proprio talamo ma in freddi ospedali: non più circondati dall’affetto dei familiari, ma da infermieri e medici. Ci sentiamo di condividere pienamente il giudizio del nostro defunto maestro Costanzo Preve quando asseriva che il momento cruciale in cui l’ammalato si dirige verso la morte è oggi indubbiamente più «osceno» degli organi genitali maschili e femminili. Se da una parte è perfettamente lecito mostrare in televisione seni e glutei scoperti o addirittura rapporti sessuali espliciti, la figura di una persona morente non viene mai fatta vedere. E questo perchè la morte rappresenta ciò che di più scabroso possa esserci all’interno della società capitalistica: la fine del consumo. Un’esistenza autentica è dunque impossibile all’interno del capitalismo.
Prendiamo in esame per un momento le tre categorie che per Heidegger caratterizzano l’esistenza inautentica ovvero la chiacchiera (Gerede), la curiosità (Neugier) e l’equivoco (Zweideutigkeit). Queste tre categorie, benchè siano state esposte in un libro risalente al lontano 1927, descrivono michelangiolescamente l’odierna società dello spettacolo, la manipolazione mediatica e la degradazione della comunicazione. Il linguaggio che è per sua natura lo svelamento dell’essere, ciò con cui l’essere stesso si esprime e prende corpo, diventa nell’esistenza anonima chiacchiera inconsistente. Un’esistenza così vuota cerca ovviamente di riempirsi ed è dunque morbosamente protesa verso il nuovo: la curiosità è quindi l’altro suo carattere dominante. Una curiosità si badi bene non per l’essere delle cose ma per la loro apparenza visibile, il che genera inevitabilmente l’equivoco. La moderna società capitalistica infatti è una società dell’irrilevanza, della rimozione della morte quale interruzione del consumo, e infine della disattenzione pianificata e organizzata.
Ciò che caratterizza la riproduzione sociale del capitale e che ne costituisce il maggiore punto di forza è l’assoluta irrilevanza e indifferenza verso ogni tipo di comportamento. Contrariamente a quanto accadeva nel mondo antico e nella società feudale e signorile il potere all’interno della modernità non ha più bisogno di metodi di coercizione fisica per neutralizzare le opinioni potenzialmente pericolose. Esso si limita marginalizzarle e a ghettizzarle attraverso un fenomeno che a suo tempo Herbert Marcuse definì «tolleranza repressiva». Si verifica una concessione di libertà apparenti a patto che non ledano gli interessi dominanti ma che anzi ne garantiscano e ne rafforzino la persistenza della repressione. Ognuno infatti oggi è «libero» di esprimere la propria opinione, anche radicale, nella misura in cui essa rimanga pura chiacchiera ineffettuale.
Se si vuole davvero muovere un’opposizione sensata al pensiero di Heidegger bisogna piuttosto criticare la sua sfiducia verso la possibilità di superare il tecno-capitalismo attraverso la prassi umana e non certo rinfacciandogli il proprio passato nazista.
E’ quindi il continuo richiamo heideggeriano ad «Essere-per-la-morte» (Sein zum Tode) e al rifuggire dall’esistenza inautentica della modernità capitalista a rendere la filosofia del «mago di Messkirch» ancora pericolosa per l’attuale capitalismo neoliberista e finanziarizzato che si trova costretto a delegittimarlo per i suoi biasimevoli trascorsi politici.
Bravissimo!
Non so quanto la diffamazione sia pilotata, non so quanto Heidegger sia ancora pericoloso per certi interessi, ma comunque bravissimo!
Era fondamentale prendere posizione su questo tema, che a mio avviso illumina in modo spietato anche un clamoroso errore metodologico: interpretare gli eventi storici come cause necessarie o conseguenze inevitabili di certe riflessioni filosofiche. Figurati che ho letto su un blasonato libro sulla storia di Weimar che la critica al “Man-” di Heidegger (cioè alla spersonalizzazione del “Si-muore”, “Si-dice”, “Si-fa-questo e quest’altro”, per i non addetti ai lavori) è l’espressione della sua opposizione al pluralismo democratico (sic!). Lo storicismo tocca a volte vette di ridicolo come queste…
Il pensiero di Heidegger è certamente intriso di riferimenti culturali ad un mondo chiuso e contadino, e il suo pensare per “origini” a volte dimentica l’imprescindibile ruolo emancipatore della tecnica. Tuttavia la sua analitica esistenziale, se anche possa esser sorta solo su un terreno fascista è, per esprimersi nel modo più neutrale possibile, un buon modello di interpretazione per il nostro essere nel mondo e al mondo.
Ma in definitiva questi sono tutti pseudo-problemi, se heidegger lo si studia invece di citarlo. Se si legge essere e tempo attentamente, si capisce abbastanza chiaramente che la sua non è un’opposizione alla chiacchiera alla curiosità e, in sostanza, all’inautentico. Heidegger rifugge un tale eroismo, anzi, la nostra esistenza è permanentemente nella deiezione e dunque proiettata nell’inautentico. Quello che Heidegger prospetta con l'”autentico” non è una fuga dall’inautentico, ma un “diverso afferramento di esso”. Dunque poteva essere nazista e anti-parlamentare quanto si vuole, ma alla fine nel suo libro ha deciso di scrivere che l’inautenticità (nel quale certi pazzi appunto scorgono persino la repubblica parlamentare) non è qualcosa che possa essere messo da parte come un qualcosa di insignificante, ma una modalità costante del nostro esistere. Il punto per Heidegger non è dunque opporre un esistenza autentica ad una inautentica (sarebbe un paradosso! L’uomo è sempre compreso in entrambe le possibilità); semmai, la vera differenza sta nel modo in cui afferriamo l’inautentico a partire dall’essere afferrati dall’inautentico.
Questo vale anche per la sua filosofia successiva. La metafisica, l’oblio dell’essere e il nichilismo non sono degenerazioni dell’essere che un pensiero corrotto ha obliato e rinnegato. Tutt’al contrario! L’essere, secondo Heidegger, è per sua stessa essenza oblio, è storico, è differenza (anche da se stesso) si da sempre e solo nella rammemorazione e mai in modo immediato.
Infine senza Heidegger, non ci sarebbe la filosofia del ‘900 punto.
Studiatela la filosofia, studiatela, invece di chiacchierare.
ti ringrazio per questo esaustivo e (fin troppo) elogiativo commento. Ho sentito la necessità di intervenire su questo tema dopo aver preso l’almanacco della filosofia di micromega e aver letto tutta una serie di articoli volti a distruggere non tanto la figura storica di Heidegger quanto a condannare alla damnatio memoriae tout court il suo pensiero. Io credo che questo attacco nei confronti della figura del «mago di Messkirch» non sia casuale ma conforme alla delegittimazione operata dalla cosiddetta filosofia analitica di matrice angloamericana oggi dominante nei confronti di quella europea.