Un ritrovamento sensazionale ad Ercolano, senza precedenti: ieri mattina un team di paleografi dell’Università di Napoli ha dichiarato di essere entrato in possesso di un dialogo platonico fin ora sconosciuto, di cui si faceva cenno nelle fonti antiche (in particolare Diogene Laerzio ed altri dossografi greci), ma di cui non si era mai avuta alcuna testimonianza documentaria fino ad oggi. Si intitola De iusta ratione vivisectionis horribilem usum disceptare e si presenta in un’ottima traduzione latina, per quanto siano ben riconoscibili gli stilemi dell’originale greco da cui è stato tradotto. Il manoscritto si è conservato miracolosamente intatto, solo gli orli del rotolo sono lievemente combusti. Nessuno sospettava che in una delle cassette di legno, quelle che ancora non erano state aperte dagli studiosi impegnati nell’opera di decifrazione e catalogazione dei papiri ercolanensi, si nascondesse un simile tesoro.
Ma qual è il contenuto del testo? Si tratta di un dibattito in due parti sostenuto da Socrate (il maestro e l’eterno protagonista dei dialoghi di Platone) sulla liceità degli esperimenti scientifici condotti sugli animali da medici e farmacisti: un tema senz’altro di grandissima attualità. Che un dibattito sulla liceità della sperimentazione animale fosse già in corso ai tempi dell’Atene classica nessuno se lo aspettava. L’intera comunità scientifica è rimasta basita, non soltanto dalla modernità degli argomenti in campo, ma dalla loro sbalorditiva somiglianza con quelli usati ancora oggi da chi si batte contro o a favore della vivisezione (come era chiamata ancora qualche tempo fa). Socrate dapprima confuta le tesi di coloro che ritengono che ci si debba opporre alla sperimentazione animale con argomenti scientifici. Infatti che la sperimentazione dia risultati completamente diversi per gli uomini e gli altri animali (e sia quindi inutile ai fini della scienza) non solo è implausibile, ma addirittura irrilevante, una volta sancita l’ingiustizia di una pratica crudele ed antropocentrica come appunto la sperimentazione animale. Se si dice che non si accetta la sperimentazione sugli animali perché inutile, si afferma in modo chiaro che qualora fosse utile sarebbe ragionevole impiegarla. Quindi Socrate procede a smascherare l’ipocrisia dei medici, che sperano di continuare le loro pratiche ignobili prendendo a giustificazione i più tipici discorsi specisti (ovvero che i non umani sono esseri irrazionali, che in quanto bruti vivono una vita indegna di essere vissuta et cetera). Il padre della maieutica si pronuncia contro ogni forma di violenza e sfruttamento nei confronti degli animali delle altre specie. Una versione italiana del De iusta ratione ha cominciato a circolare in rete già nel tardo pomeriggio, diffusa su vari siti dagli attivisti animalisti, entusiasti di poter finalmente aggiungere con ogni certezza Platone e i suoi discepoli al pantheon dei vegetariani famosi.
Ed è subito rissa nel <<pollaio delle Muse>>, avrebbe detto Timone da Fliunte: sono passate poche ore infatti da quando è trapelata la notizia di questo straordinario ritrovamento e già i maggiori filologi italiani si stanno scannando indecorosamente sulla paternità del manoscritto. Salvatore Settis è tra i fautori più convinti dell’autenticità del dialogo platonico, che secondo la sua ipotesi sarebbe arrivato dall’Attica in Campania insieme agli altri testi della biblioteca di Filodemo. Il filosofo di Gadara, che fu a lungo ospite del suo protettore Pisone Cesonino, proprietario della Villa dei Papiri, non poteva non nutrire un certo qual interesse per la questione inerente le altre specie animali e il trattamento che loro spetta (come è attestato, del resto, in tutta la tradizione epicurea). Carlo Maria Mazzucchi, dell’Università Cattolica di Milano, ha subito avanzato una proposta ardita, alquanto interessante, secondo cui il manoscritto andrebbe datato appena dopo la metà del primo secolo, un decennio prima dell’eruzione del Vesuvio, e sarebbe stato scritto da un giovanissimo Plutarco (di cui è nota da altre opere la vocazione proto-antispecista). Plutarco avrebbe cercato di influenzare gli intellettuali suoi contemporanei componendo questo falso e attribuendolo niente meno che al fondatore dell’Accademia, il grande Platone. In questo modo avrebbe cercato di sensibilizzarli alla causa animalista e di potenziare così la componente pitagorica insita nel pensiero platonico. Come suo solito, per non attirare su di sé l’attenzione della stampa, il Mazzucchi ha deciso di affidare questa teoria ad una lingua incomprensibile ai più, scrivendo un articolo in armeno classico. Stroncante il commento rilasciato a caldo da Luciano Canfora: <<Solo uno sciocco come Settis poteva prendere per buono il papiro sulla sperimentazione animale. Si tratta chiaramente dell’opera di un falsario dell’Ottocento, che voleva farsi gioco dei babbei dell’accademia. Costantino Simonidis ha colpito ancora. Presto>>, ha aggiunto il gran barone dell’Università di Bari <<vi prometto che uscirà un mio nuovo libro su questa ridicola pasquinata in salsa animalista, un pamphlet>>: sarebbe l’ottava pubblicazione dal gennaio 2014.
Ma l’ultima parola spetta ad Aldina Sottofattrici, la giovane ricercatrice formatasi all’Università Falce e Martello di Ivrea, a cui va il merito della pronta identificazione del manoscritto: <<E’ il giorno più bello della mia vita. Questa scoperta non solo costituisce un caso unico nella storia dell’antichistica, ma rappresenta anche un enorme passo avanti nella nostra comprensione della filosofia greca e nell’importanza che bisogna dare, ieri come oggi, alla liberazione animale, di cui sono una ferma sostenitrice. Questa riguarda gli animali umani non meno di quelli non umani. Come dice il Socrate del dialogo: Questo sistema che noi ateniesi amiamo tanto e che si chiama “democrazia” si presenta come luminosa invenzione sociale che permette a tutti i cittadini di esprimere le proprie opinioni. Ma esso si basa sulla soggezione di altri greci che teniamo sotto la minaccia delle armi, qualora non paghino quelle tasse che rendono smagliante la nostra città. E l’insensibilità verso quelle genti, a lungo coltivata nuotando felicemente nel loro sudore, è la stessa che ci permette di accettare lo smembramento di corpi che solo per la forma, divergono dal nostro. Tutta l’insistenza sulla differenza tra l’uomo e animale crolla di fronte al fatto che l’“uomo” non esiste, che, anzi, esistono tanti esseri umani che ancora non hanno il crisma di umano agli occhi di altri esseri umani.>> Data l’enfasi, ci sorge spontaneo un dubbio: non sarà forse Aldina la vera autrice di questo straordinario (e divertente) dialogo De iusta ratione?
Recent Comments