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21 November 2024

H2O: quando diamo per scontato un diritto da difendere

H2O: quando diamo per scontato un diritto da difendere

Hai mai pensato all’acqua come ad un diritto inalienabile? Il 22 marzo è stato il “World Water Day”: ricordiamoci dell’acqua, bene insostituibile.

“L’acqua pura per bevanda… sconviene, perché questa è troppo poco stimolante, mette troppa mollezza e rilassatezza nei corpi e troppi sudori facilita”. Questa è la balzana idea sostenuta da Domenico Cervesi, ahimè ancora a metà del 1800, quando si pensava che il vino fosse la bevanda ideale, da preferire, e si continuava imperterriti a credere che l’acqua fosse fonte di gravissime malattie. Infatti, mentre i romani trascorrevano le loro giornate alle terme, tra bagni e saune, i medioevali sono stati i primi a temere l’acqua e a non usarla affatto, preferendo vivere tra pulci e pidocchi, certo, ma vivere. Perchè per loro acqua significava: veleno micidiale.

Che dire di Versailles, 1700? Lì l’acqua era tabù, le donne si lavavano (forse) una volta all’anno, indossavano parrucche per intrappolare i tanti parassiti annidati tra i capelli e si cospargevano di profumi e oli con la speranza di nascondere il proprio odore nauseabondo.

E pensare che oggi, invece, l’acqua è definita “oro blu”, il “nuovo petrolio” e ci sono anche molte guerre, soprattutto nell’America Latina, che hanno come oggetto del loro contendere questo composto, il più semplice e il più versatile dell’Universo, due atomi di idrogeno e uno di ossigeno, la molecole alla base della vita, che gli scienziati cercano sugli altri pianeti. L’acqua è l’ “ingrediente” principale del nostro corpo, un uomo può vivere circa un mese senza mangiare nulla, ma non può sopravvivere più di due giorni senza bere.
Usiamo l’acqua in qualsiasi nostra attività: la beviamo, ci laviamo, cuciniamo, puliamo le nostre case, la usiamo per irrigare i campi e nei processi industriali. Ogni anno i consumi aumentano ed è un’escalation che non conosce limiti, anche se questo vale soltanto nei paesi ricchi, non in quelli del terzo mondo.

Purtroppo, infatti, al giorno d’oggi ancora molte persone non hanno la possibilità di servirsi di acqua potabile; in Asia e Africa sono milioni i bambini che muoiono ogni anno perché si ammalano dopo aver bevuto acqua sporca … O per non averne bevuto abbastanza.

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Tuttavia, nei paesi industrializzati, l’acqua continua ad essere un business e se sulla carta, la Risoluzione ONU del 2010, il diritto all’acqua è un diritto umano universale e inalienabile, non lo è poi nei fatti, dato che l’acqua viene trattata al pari di una qualsiasi merce che crea mercato e guadagno.
Levissima, Ferrarelle, Boario, Sant’Anna, Panna, Fiuggi… l’acqua in bottiglia muove un giro d’affari di centinaia di miliardi di euro, soprattutto in Europa, specialmente in Italia, anche se l’acqua del rubinetto è altrettanto buona e fa bene anche al portafoglio.

L’acqua è sempre più scarsa, più inquinata, più rara e se si vuole garantire a tutti l’accesso all’acqua potabile lo si può fare lottando per arrestare i processi di privatizzazione e mercificazione e mettendosi in gioco per rendere l’acqua un vero bene comune, equamente condiviso.
Condivisione: questa è la parola chiave. Creare, omogeneità tra i consumi permetterebbe di evitare, in futuro, gravi problematiche legate alla reperibilità di acqua potabile.
Al giorno d’oggi, invece, esistono solo grandi squilibri: si va dai 4/5 litri che un italiano fa scorrere per lavarsi i denti, al litro di acqua circa che i nomadi dei deserti del mondo si fanno bastare per una intera giornata.

La nostra nazione è, infatti, tra i maggiori consumatori di acqua potabile e un italiano su due compra ancora acqua in bottiglia, con la convinzione che abbia un sapore migliore… e per abitudine.
Sfortunatamente non esiste un’altra alternativa: il primo passo avanti per migliorare le cose si può fare solo se si è disposti in primo luogo a cambiare se stessi, le proprie consuetudini, il proprio modo di pensare e a mobilitarsi per salvare questo bene partendo dal semplice gesto di chiudere il rubinetto mentre ci si lava i denti.

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In Italia, poi, le produzioni agricole assorbono circa il 70% dei consumi, ma purtroppo è tanta l’acqua che fuoriesce dagli impianti e non raggiunge i campi. Per tagliare queste perdite si potrebbero usare nuovi sistemi di irrigazione, come quello “goccia a goccia”, grazie al quale si fornisce acqua in quantità precise alle singole piante.
Nel settore secondario, invece, si potrebbe puntare su riciclaggio e riutilizzo dell’acqua impiegata nei processi industriali, che viene normalmente scaricata come rifiuto.

Andando avanti di questo passo stiamo rischiando di arrivare, nel 2020, con tre miliardi di persone senza accesso all’acqua potabile e allora dovremo sviluppare sistemi nuovi per la depurazione e desalinizzazione dell’acqua di mare, che ci costeranno miliardi e miliardi di euro e metteremo ancor più in crisi la nostra economia già seriamente ammalata.

La nostra civiltà di consumi si sta trasformando in quella degli sprechi, a partire da quel bene prezioso e sempre più raro che è l’ “oro blu”. Se le cose non cambieranno subito e in fretta fra pochi anni il vero problema non sarà la scarsità di cibo… ma di acqua.

Rischierà l’estinzione?

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