Da settimane ormai in tutti gli angoli della Russia si preparano i festeggiamenti di quella che è la ricorrenza più importante dell’anno, la più sentita tra la popolazione e allo stesso tempo quella più cara al governo centrale. Si tratta della “Giornata della Vittoria” (День Победы), che cade il 9 maggio e celebra la vittoria di quella che nell’ex-blocco sovietico è conosciuta come la “Grande guerra patriottica”. L’8 maggio 1945, presso il quartier generale della quinta armata sovietica a Berlino-Karlshorst, venne firmata la resa incondizionata della Germania nazista, già sancita il giorno precedente con un documento sottoscritto a Rheims, in Francia. L’accordo entrò in vigore alle 23.01 ora di Berlino, quando a Mosca era già il giorno successivo.
La ricorrenza iniziò ad avere un certo significato in occasione del suo ventennale nel 1965, in epoca Brežneviana, tornando ad essere definitivamente giorno festivo. A partire dagli anni ’60 non solo a Mosca, ma anche in altre città dell’Unione Sovietica, si iniziarono ad organizzare parate militari con cerimonie presso i memoriali ai caduti in guerra e al milite ignoto. La tradizione si è conservata anche in seguito allo smembramento dell’URSS e dal 1995 è ripresa l’usanza della parata sulla Piazza Rossa a Mosca. Quest’anno sono previsti grandi festeggiamenti, visto che si celebra il settantesimo giubileo.
La passerella della festa deve essere impeccabile e già da fine aprile è possibile percepire la frenesia in centro città (non solo a Mosca, ma in qualunque delle capitali degli 85 stati federati russi): le strade, solitamente disastrate a causa della losca gestione dei finanziamenti pubblici, vengono rattoppate e ripulite dal fango, le fioriere vengono rinvasate e le aiuole ripiantate, da ogni lampione sventolano il tricolore russo e i colori della festa, il nero e l’arancio, ogni giorno ci sono deviazioni forzate del trasporto pubblico per permettere le prove generali della parata. Le celebrazioni coinvolgono naturalmente anche le scuole, con disegni e cartelloni dei più piccoli e con vere e proprie marce militari in divisa dei più grandi.
La domanda (lecita) che sorge spontanea è: Quale può essere il significato di una tale celebrazione settant’anni dopo la fine della guerra? È davvero una festa del popolo o è una cerimonia calata dall’alto?
Il 9 maggio è innanzitutto una festa patriottica, sentita da tutte le classi sociali, al contrario ad esempio della nostra Liberazione, su cui si crea sempre qualche distinguo a causa dell’uso politico che se ne è fatto in passato. Il motto tra la gente è “Io ricordo, io sono orgoglioso”: il riferimento va all’opposizione al nazi-fascismo, tema di tradizione sovietica ancora caro ai russi (basti pensare alla propaganda filogovernativa a proposito dei “fascisti ucraini”), ma anche e soprattutto va ai ventitré milioni di cittadini sovietici, tra militari e civili, che persero la vita durante il conflitto (13,6% della popolazione), perdite di gran lunga superiori alle altre potenze che presero parte alla guerra. Grande importanza rivestono gli ormai pochi veterani di guerra ancora in vita, che in occasione di molteplici eventi pubblici sfoggiano una pioggia di medaglie sulle proprie divise.
C’è però qualcosa di più che il semplice ricordo del sacrificio dei padri, considerando che altre tragedie della storia del popolo sovietico, quali le purghe staliniane e la grande carestia in Ucraina, non godono di una tale risonanza (anche mediatica). La celebrazione della vittoria nella Seconda Guerra Mondiale, ultimo grande successo dell’Unione Sovietica all’alba della Guerra Fredda, pare anche (e soprattutto) l’occasione per rimarcare il carattere imperialista della Russia e la sua importanza nello scacchiere mondiale. Per quale ragione altrimenti scomodare la propria tecnologia bellica e i propri reparti militari in parate che non hanno pari nel mondo? Il 9 maggio è una vetrina per la Russia stessa, è la rappresentazione davanti all’opinione pubblica interna del potere di quello che ancor oggi è l’Impero russo, di quel potere che ha permesso il “ritorno a casa della Crimea” sotto gli occhi di un Occidente impotente e che permette di salvaguardare la propria zona di influenza sponsorizzando stati cuscinetto come Abkhazia, Ossezia del Sud e Nuova Russia.
Lo stesso Vladimir Putin ha contribuito nei suoi anni di governo ad accrescere l’importanza della festa dal punto di vista propagandistico. Dal 2008 la parata moscovita è tornata a comprendere anche la tecnologia bellica (il 9 maggio non vi sarà quindi molta differenza tra il panorama di Mosca e quello di Donetsk), mentre dal 2005 è iniziata la tradizione della distribuzione pubblica del “Nastro di San Giorgio”, oggi chiave dei festeggiamenti. Il nastro di San Giorgio non è una bandiera e non è uno stemma, ma in questo periodo assume molta più importanza del tricolore russo: è un nastro di stoffa a strisce nere e arancio e si rifà direttamente all’onorificenza sovietica della “Medaglia per la vittoria sulla Germania nella grande guerra patriottica 1941-1945”, conferita ai reduci nel dopoguerra, che a sua volta prese spunto dalla massima onorificenza militare di epoca zarista, l’allora “Ordine di San Giorgio”. Il nastro viene distribuito gratuitamente tra i mesi di aprile e maggio, non solo in Russia ma anche all’estero (Italia compresa).
Il semplice nastro è quindi il simbolo della partecipazione alle celebrazioni del 9 maggio, sfoggiato in bella vista sul cruscotto delle automobili e sul volante di ogni autobus, così come sulle borse o sulle giacche delle signore a passeggio. È il vero biglietto d’entrata (gratuito) ai festeggiamenti, il collante che cementifica l’unità dei russi e della Federazione in questi giorni di festa. Vi è però una differenza: conclusi i festeggiamenti e tornati i soldati nelle caserme la città torna alla normalità, tolte le bandiere e lasciate le strade a sgretolarsi. Il nastro, al contrario, resta appeso nelle automobili, nei bus e nei luoghi pubblici. Resta come simbolo di una vittoria che fu e… come monito di una vittoria che può ancora essere.
Di recente è sorto un altro contrasto, complici il surriscaldarsi della confronto USA-Russia in Europa orientale e la rinnovata politica imperialista di Mosca: i separatisti filo-russi in Ucraina hanno iniziato ad esporre accanto alle bandiere di Lugansk e Donetsk proprio il Nastro di San Giorgio, che ha assunto quindi l’ulteriore significato di appartenenza alla sfera di influenza russa in contrapposizione a quella ucraina filo-americana, causando non poche proteste tra i reduci di guerra di Kiev, che si oppongono alla strumentalizzazione del nastro, considerato un patrimonio storico comune a tutte le ex-repubbliche sovietiche.
Tutto è ormai pronto per i festeggiamenti e il nastro è già da tempo appeso al mio zaino. Perché, diciamocelo: senza nastro, che festa sarebbe?
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