Da quando ho cominciato il mio soggiorno di ricerca in Spagna, ho avuto la curiosità di vedere dal vivo una corrida de toros, spettacolo iconico della tradizione culturale iberica, e ovviamente sotto attacco da parte dei soliti progressisti, cosa che non può che predispormi favorevolmente. Il mio interesse si era accresciuto dopo aver visitato la famosa Plaza de Toros di Las Ventas a Madrid, con l’annesso Museo Taurino. Dal mio arrivo a metà ottobre, pochi giorni dopo la chiusura della stagione, ho dovuto attendere fino alla fine di gennaio.
La stagione è aperta dalla Feria de San Blás nel paesino di Ajalvir, arroccato sulle brulle colline che sovrastano l’aeroporto di Madrid e separano la città da Guadalajara, subito dopo Paracuellos, nota per il massacro commesso dai Repubblicani nel novembre 1936 sulle rive del Río Jarama. Ho scelto lo spettacolo di sabato, i cui toreadores – da una veloce ricerca su internet – mi parevano più esperti, e acquistato il biglietto via internet attraverso un’agenzia specializzata (30 €). Col senno di poi, mi sarebbe convenuto acquistare sul posto, il giorno stesso, l’abbonamento a entrambi gli spettacoli (35 €). Ho raggiunto il paesello in taxi, data la scarsa frequenza dei mezzi pubblici nel fine settimana, ma con largo anticipo. Sulla piazza principale, dominata dalla chiesa e dal ayuntamiento, la popolazione affollava gli unici due bar.
A poche centinaia di metri, ho raggiunto la plaza de toros, ai limiti dell’abitato. Ho ritirato il mio biglietto e sono entrato con una mezz’ora d’anticipo, mentre gli inservienti stavano ancora compiendo i preparativi. L’arena, di quarta categoria, è una struttura molto semplice in legno e metallo. Le sei gradinate circolari del tendido si affacciano direttamente sul ruedo centrale, separato da uno stretto corridoio di servizio (callejón). Ho preso quindi il posto migliore: la barrera, ossia la gradinata più interna subito dietro al callejón, del lato all’ombra, di fronte alla puerta de los toriles, da cui entrano i tori. Buona parte dell’azione cruciale si sarebbe svolta in questa parte dell’arena.
Naturalmente, avevo un minimo di conoscenza preliminare dello spettacolo. Oltre alla visita a Las Ventas, avevo memorizzato i fondamenti del rituale. Non sono certo come quel vecchio che, due gradinate dietro di me, si vantava di aver visto un migliaio di corride, e sono sicuro che gli intenditori che si accapigliano sulle virtù di questo o quel torero conoscono ogni singolo tecnicismo della tauromachia, ma, nel mio piccolo, resto in grado di distinguere la muleta dalla capote, benché i singoli passi di questa danza letale mi siano ancora piuttosto oscuri.
S’inizia con il paseíllo, la sfilata aperta dai due alguaciles a cavallo, e poi in rigoroso ordine di importanza e anzianità, i tre matadores, i nove banderilleros (in tre cuadrillas) e i sei picadores, a cavallo, a chiudere gli inservienti, mozos e areneros, e infine le mule. Una piccola banda musicale, dalle gradinate, provvede a scandire le fasi a suon di musica.
Dopo questa presentazione al pubblico, tocca al primo torero, il mancego Victor Puerto. L’emozione è grande quando il primo toro, un bestione da mezza tonnellata, esce di corsa dalla porta opposta. Nella prima fase, il tercio de varas, il matador affronta con la capote, panno rosa semirigido, l’animale, saggiandone l’aggressività e i movimenti (suerte de capote). Poi entra in gioco il picador che lo affronta a cavallo, infilzandolo con una lancia tra la nuca e le spalle, in modo da indebolirlo. Il toro si lancia con tutta la sua forza contro il cavaliere, cercando di disarcionarlo. Dagli anni ’20, il cavallo è protetto da una gualdrappa imbottita, per evitare di essere ferito mortalmente dalle corna del toro.
L’animale comincia a perdere sangue, i suoi movimenti sono più lenti. È l’ora del tercio de banderillas: i tre banderilleros appunto si avvicinano, uno dopo l’altro, al toro, per conficcargli nelle spalle ciascuno due banderillas (stecche di legno adornate di frange di carta colorata e culminanti in uncino metallico). Il bovino si ravviva, cerca di inseguire i suoi tormentatori, ed è pronto per l’ultima fase: il tercio de la muerte.
Resta solo con il matador, armato di spada e muleta (il panno rosso). Questi mostra la sua bravura, sfidando l’animale ferito, finché non decide che è maturo per la stoccata finale. Il suo tempo a disposizione è limitato: 5’ prolungabili a 10’ ed eccezionalmente a 12’, su segnale (aviso) del presidente. Il colpo mortale è inferto presso la spalla, al fine di recidere l’aorta e portare alla morte pressoché immediata dell’animale. Nei fatti, è spesso necessaria più di una stoccata, e il toro abbattuto al suolo, è finito da un inserviente con un colpo di stiletto alla nuca. Il trio di mule provvede poi a trascinare fuori l’animale, da una porta apposita.
In circa due ore e mezza, ho visto i tre matadores alternarsi con sei tori. L’abilità del torero è fondamentale, specialmente per sapersi adattare al differente comportamento del toro. Allorché questo è meno aggressivo, egli si fa più audace, arrivando a sfiorare le corna, voltando le spalle all’animale, macchiando il costume elaborato di sangue bovino. La differenza è stata spesso evidente anche a uno spettatore esordiente come me. Ad esempio, al suo secondo toro, Puerto ha dovuto infilzare la spada ben cinque volte, prima che finalmente restasse conficcata in profondità. Viceversa, Octavio Chacón (il terzo) ha piantato la lama fino all’elsa al primo colpo.
Anche la bravura (aggressività) del toro è importante. In generale, i commentatori sono stati poco soddisfatti dalla qualità dei tori (Ganadería Soto de la Fuente). Il terzo e il quarto sono stati visibilmente meno feroci, il sesto, addirittura, complice una capriola sulle proprie corna al primo tercio, ha destato le proteste del pubblico per la sua apparente passività, prima di riprendere vivacità. Io, onestamente, ho tifato anche per il toro, non per animalismo (morbo dal quale sono del tutto immune), ma per senso di sportività. Però è evidente che se la corrida fosse più paritaria, dunque più pericolosa, le polemiche sarebbero anche superiori.
In ogni caso, è indubbiamente impressionante vedere da vicino la sofferenza del toro di fronte alla morte. Vero è però che la loro sorte è nettamente migliore di quella delle bestie d’allevamento. Per quattro anni, i toros de lidia vivono all’aria aperta con tutti gli agi. Nell’arena affrontano una morte eroica, in combattimento, con la possibilità di conquistarsi, con il proprio valore, la grazia, e trascorrere il resto dei propri giorni come toro da monta. Troppo pericoloso sarebbe, del resto, un sopravvissuto, esperto ormai delle astuzie del torero.
La folla, composta perlopiù da anziani e famiglie, con numerosi bambini, riempiva oltre tre quarti dell’arena (circa 2500 persone) e partecipava festosamente all’evento, sventolando i fazzoletti per chiedere il trionfo per i toreadores che avevano mostrato il proprio valore. Victor Janeiro (il secondo) ha ottenuto un trionfo (entrambe le orecchie) al secondo toro, mentre Octavio Chacón ha ottenuto due orecchie e una orecchia (terzo e sesto toro, rispettivamente). Le appendici dell’animale sono state esibite davanti alla folla festante e poi lanciate sulle gradinate agli ammiratori. I due vincitori, entrambi di Cadice, sono usciti per la puerta grande, portati sulle spalle (a hombros) dagli spettatori.
Insomma, posso dire che ne è valsa la pena e che il mio pre-giudizio positivo sulla tauromachia ha trovato sostanziale conferma. Non ne sono rimasto follemente entusiasta, ma resta una parte importante del patrimonio culturale del popolo spagnolo. Una festa che affonda le sua radici in tradizioni millenarie e mette l’uomo a contatto con la realtà della morte conserva una forte carica formativa e antimoderna, al di là delle inevitabili commercializzazioni. Per questo, sono ancora più convinto che vada difesa a spada tratta contro l’abolizionismo animalista di matrice chiaramente progressista e sovversiva.
Le fotografie numero 2, 3 e 4, nonché quella in copertina sono state scattate dall’Autore del presente articolo in occasione della corrida recensita.
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