Lo incontriamo all’uscita di un esame universitario per parlare di Euro, il suo punto forte. Ma non solo: anche di Europa, economia, democrazia e futuro della Lega. Prima di dedicarsi al Carroccio, Claudio Borghi Aquilini insegnava all’Università Cattolica di Milano. Fortunatamente, doveva presiedere ad un esame scritto: l’umore dell’economista che ha trascinato Salvini nella lotta contro l’Euro non è infatti dei più rosei e non avrebbe certo aiutato i malcapitati esaminati. «La bocciatura del referendum contro la legge Fornero avrà ricadute sulle alleanze» – dice evidentemente stizzito – «non si può continuare a collaborare con chi vuole mandare al Quirinale uno come Amato».
Partiamo da qui. Vi aspettavate una bocciatura?
«No. Non si fa una fatica assurda, che impegna tutto il partito per quasi un anno, per il semplice gusto di farselo bocciare. Qui c’è di mezzo l’Articolo 1 della Costituzione: lavoro e sovranità al popolo. Non so come la Corte abbia potuto calpestarlo. Se dilatiamo il divieto a referendum dalle questioni ‘fiscali’ a quelle ‘economiche’, cosa ci rimane? La nostra vita dipende dall’economia, ma la sovranità monetaria non c’è più e il pareggio di bilancio in Costituzione ha sottratto anche la politica fiscale: se non possiamo nemmeno gestire questioni relative al lavoro e incidere con referendum, allora – capite – che la democrazia rimasta è ben poca.
Il prof. Emilio Diodato nel suo ultimo libro «L’ortopedia del “vincolo esterno”» ha detto che i vincoli imposti dall’Ue all’Italia sono il «simbolo di una democrazia morente».
«Non c’è pensiero più elitario ed antidemocratico di supporre che il popolo sia cretino. Si suppone che il popolo sia stolto e incapace a governarsi, ritenendo necessari degli strumenti di supplenza alla democrazia – siano essi espressi dal vincolo esterno, realizzati con la moneta unica o concretizzati nell’affidamento dei governi ad istituzioni “al riparo del processo elettorale”, usando le parole di Monti. Ma più che democrazia morente, direi democrazia morta».
Ci sono margini di rivitalizzazione?
«Sì, servirebbe che l’elettore prendesse coscienza che alcuni partiti queste politiche le appoggiano, smettendo di votarli. Ma uno dei sintomi della malattia della democrazia è l’informazione».
In che senso?
«Una democrazia può dirsi compiuta solo se l’elettore è informato. Se vado da un cittadino a dirgli “vuoi la torta alla crema o un calcio negli stinchi?”, e lo faccio in maniera corretta ed equilibrata, l’elettore sceglierà ovviamente il dolce. Se invece gli taccio che la torta è avvelenata, è evidente che vi sarà un vizio del consenso democratico. Da quando abbiamo iniziato a parlare di Euro, vengono propagate menzogne da una lunga serie di mezzi di informazione. Agli italiani è stato detto che senza la moneta unica l’inflazione salirebbe al 300% e che per comprare il latte servirebbero carriole di soldi: queste non sono opinioni, ma bugie. Falsa informazione, utile solo a viziare la democrazia».
Un sondaggio Ipsos, pubblicato dal Corriere della Sera, riporta che per gli italiani il secondo motivo di “speranza” in questi tempi difficili sono i partiti euroscettici. Il primo in classifica è Papa Francesco.
«Non metto in dubbio che a molti italiani abbiamo ridato speranza. La rassegnazione è quello che tutti i carcerieri si augurano. Godono della rassegnazione. Noi non abbiamo fatto altro che dire agli italiani che è possibile fare una scelta differente».
Far crollare l’Europa dà speranza?
«Certo, anche se è necessario precisare: non è che “l’Europa crolla”. Quella rimarrà lì attaccata al mappamondo come sempre. A noi basta far cadere il guinzaglio, che è l’Euro. Poi, una volta riportato il campo da gioco in parità con tutti i bilanciamenti del caso derivanti dalle monete nazionali, saremo liberi di decidere se ci interessa allearci con gli altri paesi. Se tutto dovesse rimanere come ora, comunque, non vedo perché dovremmo avere interesse verso l’Europa associativa».
Il 53% degli italiani considera la Germania «ostile». Già negli anni ’90, negli ambienti politici italiani, si diceva che «chi offre il marco in vittima vuole in realtà l’egemonia europea». Perché allora siamo saliti sul carro?
«Bella domanda. Nemmeno io l’ho ancora capito. La risposta più semplice è “la stupidità”: uno dei grandi motivi per cui di solito si fanno cose stupide è perché si è stupidi. Le élite industriali hanno sempre usato l’esca della “moneta forte” per attirare le “valute deboli” e millantare la formazione di un’area di libero scambio dove tutti stanno meglio. Ma l’inganno sta nel far credere che sia una gara a squadre, quando invece è un match di pugilato. Cascarci è un’ingenuità da bambino: ovvio, tutti vogliono giocare con il più forte. Senza capire, però, che quello dell’economia non è un gioco di squadra, ma individuale. Dove alla fine vince uno solo. Ecco, questo potrebbe essere il primo motivo. Dall’altra parte, invece queste élite, consce del fatto che entrare in questo strumento di morte porta vantaggi solo a qualcuno, hanno trovato sponda nei partiti di sinistra. I quali hanno ritenuto l’aspetto democratico inutile, se non fuorviante: si sentivano più bravi, più colti, più intelligenti eppure alle elezioni vinceva sempre Berlusconi. Hanno scelto allora l’alternativa elitaria e tecnocratica per conquistare il potere».
L’Europa è nata male e finita peggio, oppure non ha retto le sfide della storia?
«Non pretendo che tutti sappiano di cose economiche. Ma se si mette in piedi un progetto ambizioso come l’Europa unita non si può non pensare alle conseguenze finanziarie. Non so se si trattò d’ingenuità o fu fatto volontariamente. Se i padri fondatori erano in buona fede quando progettarono i vincoli e li legarono alle convergenze economiche di paesi così differenti, se erano in buona fede insomma, allora erano anche straordinariamente ignoranti».
In un’intervista di qualche giorno fa ha detto che i tassi negativi sui Bund tedeschi significano la scommessa degli investitori sull’uscita della Germania dall’Euro. Draghi, invece, ha detto che è una moneta irreversibile. Il monito era indirizzato alla Merkel?
«Draghi continua a dire che è irreversibile perché è il suo mestiere. Anche il governatore della Banca Centrale svizzera, prima di abbandonare il livello del cambio, continuava a dire che era un sistema “irreversibile”. Le parole di Draghi quindi non mi stupiscono. Ma il discorso dei tassi negativi è eclatante: non c’è nessun motivo per cui una persona paghi per prestare dei soldi a qualcuno».
Potrebbe essere considerato un bene di rifugio.
«Sì, ma l’alternativa sarebbe tenere il denaro in cassaforte. Piuttosto che acquistare un titolo di stato e pagare un tasso negativo, preferirei avere nel portafoglio moneta contante. Certo, poi c’è chi dice che, al netto dei costi di transazione per la detenzione di liquidi, sia comunque conveniente comprare i Bund. Sono d’accordo. Ma quando i tassi sono così tanto negativi per lunghissime scadenze, i dubbi vengono. Infatti, un titolo di Stato a 5 anni non è immediatamente convertibile in denaro: se per un qualsiasi motivo i tassi dovessero tornare a salire, il valore di questi titoli si incenerisce. Rischio che non ha la carta moneta. Tuttavia, gli investitori stanno immaginando che la Germania uscirà dall’Euro, aspettandosi così una rivalutazione del nuovo marco rispetto alla moneta unica. I titoli tedeschi denominati originariamente in euro, quindi, verrebbero ripagati con il marco, valuta a quel punto molto più forte dell’euro con cui erano stati acquistati. Ottenendo così un guadagno».
Scelta saggia?
«No, secondo me sbagliano. Perché i tedeschi non sono normalmente proni a fare beneficenza agli altri. Sono quasi certo che, in caso di addio alla moneta unica, i titoli tedeschi denominati in euro per non residenti verranno mantenuti in euro. Al massimo la Germania pagherà in marchi i Bund detenuti da suoi cittadini, per opportunità politica. Di certo non lo farà per i titoli in mano ad un signore in Italia o in Francia. Inoltre, rinominare il debito è una facoltà: se fossimo noi ad uscire, dovremmo farlo. Ma non credo che la Germania abbia questo interesse».
Quantitative Easing di Draghi. Sarà utile?
«Ci sono una serie di leggende sul tema. Sbaglia chi considera il QE come se fosse la Banca Centrale che stampa soldi. Invece semplicemente dà denaro in cambio di titoli. Questa cosa può essere di stimolo all’economia solo quando il tasso d’interesse è alto, che in virtù degli acquisti della Bc si abbassa. Ma se i tassi sono a zero, significa che il valore nominale del mio titolo di stato è uguale al prezzo di mercato, includendo gli interessi. Per cui, molto banalmente, se oggi vendo un titolo che mi rende zero, esso è praticamente uguale ad una banconota. Perché potrei rivenderlo sul mercato ed ottenere quella banconota. In situazione di tassi zero il QE significa scambiare, di fatto, il proxy di una moneta con moneta. Quindi l’effetto economico è praticamente nullo. Quello che bisognerebbe fare per ottenere inflazione e attraverso essa far abbassare il debito, è far spendere la gente. Quindi alzare i salari e la spesa pubblica. Bisogna immettere denaro nel circuito reale, rilanciando i consumi e rinvigorendo così l’economia. Non vogliono farlo perché senza il correttivo del tasso di cambio, i soldi che metto in circolazione verrebbero spesi all’estero. Risultando quindi inutili per l’economia nazionale».
Draghi lo preferisce alla Bce o al Colle?
«Il governatore conosce benissimo i mercati, quindi è molto meglio di Trichet. Però adesso sta giocando contro di noi. Mi sarebbe piaciuto vederlo in Banca d’Italia per lottare contro le altre banche centrali. Assicurandoci prima, però, la sua lealtà. Adesso è come avere Ibrahimovic, ma lasciarlo giocare con la squadra avversaria».
John Milos, mente economica di Syriza, ha detto che in caso di vittoria la Grecia «non uscirà dall’Euro, perché rispetto al 2012 sul tema siamo diventati maturi».
«Direi piuttosto che sono diventati più meridionali».
In che senso?
«Se tengo in piedi un’economia con l’assistenza di soldi provenienti dall’estero, quell’economia si adatta molto velocemente alla situazione. E pur con tutti i disastri e le risorse scarsissime, ad un certo punto subentra il terrore all’idea di dover staccare la spina. È come sdraiarsi in un ospedale con una flebo con un po’ di oppiacei: dopo qualche tempo vengono a mancare le motivazioni per alzarsi e vivere una vita libera. Si fa fatica. Ci si adatta. Quindi non mi stupisce che Syriza non voglia uscire dall’Euro».
La lega corre nei sondaggi. Siete certi di arrivare al governo?
«Sì».
E diventerete “maturi” come Syriza?
«No, assolutamente. Infatti le similitudini tra Syriza e la Lega sono fuori luogo. Due cose completamente diverse. Loro vogliono rimanere nell’Euro e farsi pagare. Noi invece non vogliamo ricevere un centesimo, ma abbandonare questa moneta assurda».
Presentando la Flat Tax ha detto che avreste presentato a tappe le mosse economiche. Quale sarà la prossima?
«Parleremo di spesa pubblica e di come riqualificarla. E l’altra iniziativa, presente già nel programma della Lega, sarà di mettere in chiaro la non desiderabilità di tasse slegate dal reddito. Basare la tassazione sulla capacità contributiva è un principio costituzionale. Articolo puntualmente disatteso con innumerevoli tipologie di balzelli, dall’Imu all’Irap.
Non stiamo parlando di cose improvvisate al momento: la Lega ha presentato da tempo un piano programmatico preciso che stiamo declinando. Abbiamo il solo difetto di fare quello che diciamo».
Lei è esperto anche di arte. Se dovesse rappresentare Renzi con un quadro, quale sceglierebbe?
Fa a un sorriso e continua. «Forse “L’entrata di Cristo a Bruxelles” di Ensor: con la folla di gente strana che va dietro ad un personaggio senza sapere dove sarà trascinata. Un quadro di forte decadenza».
Salvini?
«Lui, invece, spero sia un “Taglio” di Fontana. Qualcosa che serve a far svegliare la gente per farla passare oltre una fase che già dovrebbe essere morta e sepolta».
Magistrale, anzi, maestoso!