Forza Italia non è esplosa, perché non può esplodere qualcosa che non c’è: ormai questo partito è un ectoplasma. La teoria politica deve produrre necessariamente delle etichette per catalogare le esperienze partitiche che sono nate e si sono sviluppate nella scena politica nazionale ed internazionale. C’è stato il Partito di Notabili dell’800 che ha lasciato il posto ai Partiti di Massa, in Italia rappresentati dal Pci e dalla Dc. Caratterizzati da grandi numeri di aderenti ed elevata partecipazione degli iscritti alla vita del partito, sono scomparsi sotto i colpi dei Partiti Pigliatutto, non imbrigliati dalle logiche ideologiche tipiche dei decenni precedenti e senza radicamento sul territorio. Poi, c’è (o c’era) il partito di Berlusconi. Venne soprannominato da Ernesto Galli della Loggia come il Partito di Plastica, ad indicare il suo completo asservimento alle logiche e alle volontà del capo. Un partito che venti anni dopo la storica vittoria del 1994 si ritrova ad essere definito un «ectoplasma» da Maurizio Bianconi, deputato di Forza Italia con una storia in Alleanza Nazionale e passato dal Popolo della Libertà. Proviamo a capire perché.
L’elezione del Presidente della Repubblica, che ha visto il centrodestra in ordine sparso nel presentarsi alla conta dei voti per Sergio Mattarella, ha dimostrato non tanto la morte (politica) di Forza Italia e – in parte – del suo leader, ma ha messo a nudo le debolezze intrinseche del «partito di plastica» per come era stato pensato da Berlusconi, analizzato da Galli della Loggia ed osannato da molti osservatori. In effetti, era sembrato la carta vincente del Cavaliere e forse lo è stato davvero, ma ha lasciato dietro di sé un vuoto che rende incerto il futuro dell’intera area di centrodestra.
In un’intervista al Foglio del 2009 il professor Galli Della Loggia spiegava che il termine «plastica» era una metafora per descrivere un partito che «rimane informe se non c’è il mago della plastica che gli dà forma e funzione», vale a dire che senza la spinta di Berlusconi e la sua straripante capacità mediatica ed organizzativa, il partito sarebbe rimasto senza forma, perdente e per definizione sterile: cioè incapace di autorigenerarsi e sopravvivere al suo capo.
«Berlusconi è il vincente» – diceva Galli della Loggia – «il suo partito non conta nulla». Questi ultimi giorni lo hanno dimostrato: il Cavaliere ha perso capacità contrattuale, è stato messo all’angolo da Renzi e ha sbagliato alcune scelte tattiche, tra cui quella di provare a ricucire con Alfano invece di dare il benestare a Mattarella sin dal primo giorno. Il crollo del Cavaliere l’ha privato di quella “bacchetta magica” capace di disegnare il partito al proprio seguito e di farlo funzionare.
«Non posso pensare che un partito di centrodestra muore se si ritira il leader» – ha detto Bianconi – «perché il partito di centrodestra rappresenta dei valori precisi che c’erano prima, con Berlusconi e ci saranno dopo». Seppur il ragionamento sia giusto, lascia da parte una constatazione fin troppo evidente e cioè che a destra non è rimasta alcuna struttura e alcun politico in grado di utilizzare il partito di plastica per renderlo vincente. Per questo è dunque destinato a morire insieme al suo modellatore, Berlusconi. I motivi, e le relative colpe, sono due: il primo, la natura stessa del «partito di plastica», che era nato per seguire il ritmo del Cav. ed era per costituzione stessa volontariamente informe. La seconda ragione è l’incapacità di tutta la classe politica di rendersi autonoma, in particolare i dirigenti di Alleanza Nazionale. Confluita nel Pdl, An non è stata in grado di portare in dote la propria cultura politica e partitica che avrebbe permesso al Popolo della Libertà di generarsi su nuove basi, pur non dimenticando l’origine leggera e non burocratizzata di Forza Italia.
Lo stesso Galli della Loggia considerava positiva l’aggregazione di An e Fi, formazioni con due culture partitiche e strutture organizzative così diverse, perché l’una avrebbe potuto mitigare l’altra, permettendo alla prima di proporsi come forza di governo e alla seconda di sopravvivere nel futuro alla prevedibile scomparsa dall’agone politico del proprio leader. Il punto di sutura che le ha unite è stato la tendenza di entrambi ad essere tendenzialmente leaderistici, seppur sue due basi differenti: An per conformazione ideologica, mentre Forza Italia perché nata dalla spinta di un carisma in grado di mobilitare grandi masse di elettori.
Alleanza Nazionale (o chi ad essa si richiamava), invece, si è accontenta dei voti portati al proprio mulino dall’imprenditore di Arcore, ha governato in qualche importante città e ha ottenuto posti di potere. Ma non si è curata di sostenere la formazione di giovani amministratori, di una nuova classe dirigente e non ha dispiegato molte energie in una proposta culturale di (centro)destra. Certo, nel Pdl coesistevano provenienze differenti, dai democristiani ai socialisti, ma proprio perché la componente di An si presentava come la più potenzialmente coesa, avrebbe potuto guidare lo sforzo di sintesi e produzione delle élite future. Così non è stato e nel tempo non si è venuta a creare quella rete di protezione alla disfatta dei leader che solo una struttura partitica capace di formarne di nuovi può assicurare. L’area di centrodestra è tornata quindi a spezzettarsi nelle sue diverse parti originarie, dai cattolici di Ncd ai Fratelli d’Italia.
È necessario notare che nello schieramento che per anni si è alternato al centrosinistra al governo del paese, l’unica formazione capace di rifondarsi per tornare a vincere è stata la Lega Nord. Un partito con una struttura ben definita, federale anche nella forma-partito, da cui sono emerse personalità in grado di ottenere la guida della Regione Lombardia e di quella Veneto, di passare sopra gli scandali che avevano colpito la vecchia guardia e di adattare la propria fisionomia alle nuove sfide imposte dal segretario Salvini. Lasciando da parte il giudizio sulla capacità di governo, la Lega Nord si è dimostrata in grado di usare il partito anche come vivaio per la nuova classe dirigente.
Intanto, Sergio Mattarella al Colle segna l’ennesimo colpo al «partito di plastica» che in tanti già si propongono in vario modo di riformare. Raffalele Fitto chiede di azzerare le cariche e ricominciare da capo, facendo le primarie (proposta discutibile: può risolvere il problema della scelta del capo ma non l’inconsistenza di tutto il resto del corpo partitico). Michela Biancofiore ha annunciato «Squadra Italia», una sorta di piccolo aggregato che si «stringa attorno al Presidente Berlusconi». Il senatore D’anna, invece, ritiene necessario convocare un Consiglio Nazionale per scegliere il Coordinamento Nazionale e il Consiglio di Direzione. Tutte parole che procurano l’orticaria ai teorici del partito leggero. Forse nessuna delle tre proposte potrà essere sufficiente.
Il punto politico sta nel fatto che il centrodestra avrebbe dovuto produrre un partito di “plastica dura”: leggero, leaderistico, ma almeno capace di mantenere una forma propria anche senza Berlusconi. Così non è stato. E il futuro non si preannuncia roseo.
È allarmante che nell’area del centrodestra italiano non vi siano soggetti politici in grado di polarizzare l’elettorato conservatore. La Lega mantiene ancora, seppure mascherata dalla virata a destra del suo leader, un connotato localistico. Il resto si divide tra il partito – nulla di Berlusconi, in declino come la figura del suo leader e sorretto da guerriglia politica, ed il partito – cespuglio del Nuovo Centrodestra, sorretto da un non-leader che ha sbagliato tutto, dal momento della scissione sino ai fouettes per eleggere il presidente della repubblica. Quando avremo il Patito Popolare Europeo in Italia?
Condivido la tua analisi, come puoi immaginare. Ma guarderei con più attenzione alla Lega Nord, che potrebbe sorprendere. Certo, non entrerà nel Ppe, ma in fondo un partito (nemmeno FI) veramente popolare europeo non l’abbiamo mai avuto…