Nei post a venire ci capiterà qualche volta di trattare tematiche legate all’ecofemminismo e ai queer studies in rapporto all’antispecismo. Pensiamo che possa essere utile per aprire ed anticipare il dibattito condividere su questa rubrica l’intervento di Michela Angelini al secondo incontro di Liberazione Generale, che si è tenuto a Verona il 24 maggio scorso. Ringraziamo l’autrice per la gentile concessione e rimandiamo, oltre che al sito del Collettivo Anguane (da dove abbiamo preso il pezzo), anche al blog della rivista di critica antispecista Liberazioni, dove è disponibile una versione ampliata dello stesso testo. In foto, il secondo matrimonio a Las Vegas di Mario Adinolfi, tra gli ispiratori del movimento tradizionalista Le Sentinelle in Piedi e fondatore del quotidiano La Croce.
Il sesso, da sempre, viene usato come pretesto per legittimare la superiorità dell’uomo sulla donna: il maschio, per natura forte e irascibile, domina famiglia, clan, stato. La femmina, per natura votata alla maternità, è relegata all’accudimento della famiglia e a ruoli che richiedano una certa empatia e propensione alla cura, come l’infermiera o la maestra. Cosa divide i maschi dalle femmine? I diversi genitali? Il diverso sistema ormonale? Le differenze cromosomiche? Oppure è solo una costruzione sociale per dividere l’umanità in oppressi ed oppressori? Il binarismo sessuale è principio organizzatore della società e la paura del potenziale sovversivo insito in ogni persona transessuale ed omosessuale è troppo forte per non essere visto come minaccia per la “normalità”.
Non si ha diritto ad avere un’identità legale femminile se non si è prima proceduto ad un’eliminazione dei genitali maschili. L’immagine della donna trans non operata è l’unica opzione di transessualità, accostata costantemente ad ambienti trasgressivi e al limite della legalità, cosa che rende agli occhi del pubblico la categoria “transessuali” formata da sole persone poco raccomandabili e poco affidabili. Ci insegnano che il genitore coincide con un ruolo stereotipato chiamato “madre” o “padre”, quindi automaticamente che la genitorialità omosessuale e transessuale sono inaccettabili. Non si può mettere in crisi la società sessista, preferendo l’essere sé stessi invece di adattarsi alla comune morale: alle persone transessuali è consentito rientrare nella norma rendendo il loro corpo confondibile con un corpo natio di quel sesso e alle persone omosessuali di vivere tranquillamente ad ogni livello sociale nascondendo il proprio orientamento sessuale.
Una società che vedesse convivere famiglie eterogenitoriali con famiglie omogenitoriali, monogenitoriali e famiglie allargate su quali basi fonderebbe il sessismo? Se i bambini fossero abituati fin dall’asilo a conoscere figli delle sopracitate categorie e se non esistesse alcun pregiudizio verso esse, come potrebbe essere la famiglia primo luogo dove si viene educati al sessismo? Se si potesse migrare di genere senza dover essere sottopost* a perizie psichiatriche, se i ruoli genitoriali non sono fossero più divisi in madre e padre ma unificati sotto la parola “genitore”, se l’uomo avesse la possibilità di accudire i figli neonati e la donna, neomamma, potesse lavorare e continuare a far carriera, se i bambini fossero educati in modo neutro e senza ricorrere continuamente a stereotipi di genere, cosa succederebbe alla nostra società?
In una società senza pressione genderista, in cui tutti possono incarnare l’espressione di genere che sentono propria, in cui tutti possono essere genitore, quanti finirebbero fuori da quelle gabbie imposte dal sistema? Se ognuno potesse esprimere il proprio potenziale senza doversi continuamente confrontare con le categorie uomo -maschio- patriarca e donna -femmina- madre, su quali presupposti si reggerebbero il sessismo per essere ancora legittimato?
Le Sentinelle In Piedi sono un movimento organizzato di protesta contro l’imposizione dell’ideologia gender nell’insegnamento pubblico e nella legislazione nazionale. Niente di più: non sono ancorate ad alcuna scuola di pensiero specifica e durante una veglia si può leggere sia Marx quanto Tocqueville.
Il termine “tradizionalista” non mi sembra quindi appropriato (persino meno di “omofobo”) e non hanno in Mario Adinolfi alcuna figura ispiratrice. E questi ad averle successivamente supportate, presentandosi a meno veglie del sottoscritto, comunque.
Nell’argomentazione mi sembra resti qualcosa che non viene messo radicalmente in discussione: la stessa genitorialità. C’è il rischio dunque che l’attacco ad un sistema discriminante che articola le identità per innestarvi delle forme di potere, si limiti a proporre una sostituzione di chi ricopre i ruoli (i transessuali) ma lasci intatti i ruoli stessi (i genitori).
Non mi ha mai convinto fino in fondo l’appello alla libertà assoluta, tantomeno in campo di identità sessuale. Questo non perché consideri queste manifestazioni esecrabili, immorali, innaturali etc. Ma perché la libertà di autodeterminarsi, osservata più da vicino, non mi sembra un’autentica esigenza trasformatrice. Essa rende accessibili a tutti i centri di potere esistenti senza farli realmente saltare. Il problema è complicatissimo e si intreccia con quello della sopravvalutazione del concetto di “diritto” nelle lotte per il riconoscimento.
So che ciò che sto per dire mi accosterà a gente cui da parte mia non vorrei mai essere accostato. Ma se l’immagine della famiglia dominante resta quella della coppia eterosessuale, ciò ha le sue profonde radici nella storia e nel rapporto (violento, appropriatore, selvaggio) dell’uomo con la natura, e non si tratta di un mero disegno repressivo elaborato a tavolino dai potenti cattivoni di questo mondo. Il concetto di famiglia non è una casella vuota che si può riempire a piacere: esso è intrinsecamente legato alla coppia eterosessuale, e a tutte le ingiustizie che essa presuppone.
Con questo voglio forse dire che le sopraffazioni e le disuguaglianze sono giustificate? Tutto il contrario! Piuttosto voglio dire che tutti coloro che eccedono le maglie del potere che costruisce e ripartisce le identità precostituite, debbano scagliarsi contro di esse nella consapevolezza che stanno scardinando il corso del mondo! Quando vedo un animale divorarne un altro, non ce la faccio a pensare: “è giusto, è la natura”; piuttosto penso “è la natura, quanto è ingiusta!”. Certo la natura non deve essere ipostatizzata: non esiste alcuna natura se la si considera come una sorta di ordine ontologico immutabile. Essa è piuttosto continuo rovesciamento di rapporti di forza. Dunque di fronte ad un animale che ne mangia un altro non posso pensare di oppore una giustizia universale totale, in cui tutti hanno diritto a tutto. Idea romantica tramontata da tempo! Di fronte ad un caso simile posso solo decidermi di volta in volta per uno dei due campi in lotta, per sottrarre il reale, fluido e dinamico di per sé, al dominio permanente di pochi. E, personalmente, io mi sento al fianco di coloro che lottano per l’esistenza di identità trasversali, nuove, multiformi. Ma mai per fattori morali o giuridici, mai mi verrebbe in mente la molle idea borghese che anch’essi hanno diritto all’autorealizzazione. Nessuno ha diritto all’autorealizzazione! Mi sento al loro fianco perché turbano i sonni dei perbenisti, di tutti coloro che non si sono accorti che il loro ordine è soltanto un sistema di dominio tra gli infiniti sistemi possibili. Dunque non per la conquista di diritti, al contrario per sottrarre l’apparenza di diritto ai rapporti di forza attualmente esistenti.
Credo che nessun modello politico, se non qualche sussulto involontario del marxismo, possa fornire una base teorica alla concezione che sto tentando di esprimere come il nuovo testamento e il rapporto che instaura tra natura e grazia. La grazia elegge, così Paolo, lo scarto, la stoltezza, il resto, la follia del mondo! Non che essi divengano meno folli, stolti meno feccia…ma essi per la prima volta assumono un valore proprio in quanto feccia, in quanto promemoria critico posto alla natura, come suo irriverente sberleffo, come sua confutazione! La natura produce scarti, inetti, mutilati, froci, scherzi? Ebbene, essi da sé sono la confutazione vivente, i testimoni-martiri dell’arbitrio con cui le culture umane espulgono i loro scarti per insediare il loro dominio. Troppo spesso, per un pregiudizio marxista, si confonde il rinvio escatologico con un aldilà metafisico di natura greca. Ma l’eschaton è già ora, e non ha altro ruolo che accusare costantemente i tempi che viviamo, che sono sempre gli ultimi. Così il paolino “non ci sarà né uomo né donna” non è un oppiaceo per le donne, che dovrebbero accontentarsi di un uguaglianza nell’aldilà. Il futuro del “non ci saranno” significa “attenzione, adesso ci sono” e sta a voi gestirne le relazioni e i rapporti. Esso è un atto d’accusa contro il presente, contro cui grida: “ora, ieri, domani, vi saranno sempre rapporti di dominio sessuale e società costruite su identità che vengono separate solo perché si dominino vicendevolmente. Ma dopodomani, non nell’ultimo giorno, ma nell’ultimissimo non ci saranno più né uomo né donna. Questo giorno ultimissimo non è “dopo” i tempi ma “oltre” i tempi, dunque già da ora testimonia che l’esistente è ingiusto perché deve essere rinnovato, senza però fuggire dal fatto che, finché ci saranno la storia e il tempo, ci saranno ingiustizie da combattere”.